Il Sole 24 Ore 10/10/2010, 10 ottobre 2010
Questo articolo è stato pubblicato il 10 ottobre 2010 alle ore 15:01. L’ultima modifica è del 10 ottobre 2010 alle ore 18:25
Questo articolo è stato pubblicato il 10 ottobre 2010 alle ore 15:01. L’ultima modifica è del 10 ottobre 2010 alle ore 18:25. Alberto Alesina, Harvard University, 53 anni Professore di economia ed editorialista del Sole 24 Ore, si è laureato alla Bocconi di Milano e ha ottenuto il Phd in economics ad Harvard. Tra i numerosi incarichi, anche quello di senior associate per il Center for european studies (Ces). Carlo Cottarelli, Fondo monetario internazionale,56 anni Direttore del dipartimento fiscale del Fondo monetario internazionale dal novembre 2008, si è laureato in economia all’università di Siena.Prima di entrare all’Fmi ha lavorato al dipartimento ricerche della Banca d’Italia. Prima domanda Quali sono gli effetti a breve termine dei tagli alla spesa? È vero che frenano la crescita? I consumi aumentano. Quel che Giavazzi e Pagano avevano fatto per gli aggiustamenti di bilancio di Irlanda e Danimarca negli anni 80, che avevano favorito, e non ostacolato, la crescita, Alesina e Ardagna hanno ripetuto su un campione molto più vasto di episodi, sul periodo 1970-2007, in un gruppo di paesi industriali. Il risanamento dei conti, se ritenuto credibile, può convincere gli agenti economici che eviterà altre manovre in futuro, e quindi favorire un aumento dei consumi. Inoltre, può ridurre il premio al rischio sul debito pubblico e indi i tassi d’interesse. Le componenti della domanda privata, sia da parte delle imprese sia delle famiglie, più sensibili all’andamento dei tassi, crescono. Cottarelli:Il Pil frena. Nei primi due anni dopo tagli di bilancio pari all’1% del pil, secondo lo studio dell’Fmi, la domanda interna si riduce di un 1% e la disoccupazione aumenta dello 0,3 per cento. Effetto in parte compensato dall’aumento delle esportazioni, riducendo il declino del pil allo 0,5%. Nella situazione attuale, in cui i tassi sono già vicinissimi allo zero, lo stimolo monetario che può compensare la stretta fiscale è limitato. Inoltre, se tutti i paesi decidono di procedere simultaneamente all’aggiustamento dei conti, mancherà l’effetto positivo sull’export. L’impatto negativo della stretta fiscale può in questo caso essere doppio del normale. Le conseguenze negative sono minori per i paesi a rischio di default. Seconda domanda Qual è invece l’impatto dei tagli nel medio termine? È vero che è positivo per crescita e occupazione? L’articolo continua sotto Tags Correlati: Ardagna | Banca d’Italia | Bocconi | Carlo Cottarelli | Europa | Fisco | Fmi | Harvard | Jurgen Ligi | MIT | Pedro Solbes | Simon Johnson | Alesina: L’austerità fa bene. Su questo punto, entrambe le scuole di pensiero si trovano d’accordo. L’aggiustamento dei conti pubblici fa bene alla crescita. Il problema è che in molti casi, i governi non hanno dei piani di rientro dal deficit che guardino a medio termine e indichino in misura sufficientemente dettagliata le misure da introdurre per raggiungere gli obiettivi. «Negli Stati Uniti - osserva Simon Johnson, del Mit, che ha partecipato al dibattito all’Fmi con Alesina e Cottarelli - non c’è un piano di medio termine per il taglio del deficit, né un procedimento politico funzionante per arrivarci». Per Alesina e Ardagna, a medio termine il futuro dei conti pubblici Usa "non è roseo". Cottarelli: Possibile un circolo virtuoso. Gli economisti del Fondo monetario arrivano alla stessa conclusione, che il risanamento fiscale ha un impatto positivo sulla crescita nel più lungo periodo. In particolare, sostiene l’ultimo World economic outlook, il debito più basso riduce i tassi d’interesse reali e il costo del servizio del debito, il che apre lo spazio per futuri tagli delle imposte, altra misura espansiva. Al Fondo sono convinti che sia meglio rinviare al medio termine, quando la ripresa sarà più robusta, l’entrata in vigore delle misure di riduzione del deficit, che però vanno annunciate e approvate in parlamento ora, in modo da rassicurare i mercati finanziari. Terza domanda Al di là del breve e del medio termine dove è indispensabile tagliare per avviare il risanamento? Ci sono settori più urgenti? Scure sulla spesa primaria. Alesina insiste che, tra gli episodi di risanamento considerati, sono quelli basati sui tagli alla spesa pubblica e non sull’aumento delle tasse, quelli che hanno gli effetti più favorevoli sulla crescita. Anzi, è proprio questo uno degli obiettivi principali dello studio da lui condotto. La spesa primaria (al netto degli interessi), dice l’economista, deve essere tenuta sotto stretto controllo. Il risanamento fatto con imposte crescenti che coprono una spesa pubblica che continua a gonfiarsi (strada scelta in passato dall’Italia, oggi dal Brasile) non funziona. Negli Usa, ci sono spazi per tagli nella spesa militare (Iraq e Afghanistan permettendo) e aree di forte preoccupazione su sanità e pensioni. Mettere mano alla Sanità. D’accordo con i due economisti di Harvard sull’intervento dal lato della spesa non sulle imposte, il Fondo ha un lungo ricettario di misure possibili. Cottarelli è convinto che «oggi il problema più serio è quello della sanità, che in Europa non è stato ancora riconosciuto in tutta la sua gravità». La spesa per la sanità, secondo l’Fmi, aumenterà del 3,5% del Pil nei prossimi 20 anni nella media dei paesi avanzati. Altre voci importanti sono i salari pubblici e la spesa militare (tornare ai livelli di 10 anni fa libererebbe un altro 1% del Pil). L’Fmi, sottolinea Cottarelli, non chiede tagli dei servizi pubblici, ma il contenimento della spesa. Sulle pensioni, più che tagli, il Fondo chiede l’aumento della sanità pensionabile. Quarta domanda E se la soluzione - invece che nei tagli alla spesa - fosse nell’aumentare le tasse? Le nuove imposte impacciano la ripresa . «Su due cose siamo tutti d’accordo - dice Alberto Alesina - e il primo punto è che i tagli alla spesa pubblica sono meglio degli aumenti delle tasse. L’altro è che dopo due anni dall’inizio dell’aggiustamento fiscale, la crescita ripartirà». L’economista di Harvard minimizza le differenze di posizioni fra il suo lavoro e quello svolto dai colleghi del Fondo monetario. Ma su un punto è molto fermo: il risanamento fatto con nuove imposte danneggia la crescita. Gli episodi di successo del passato mostrano anzi, sostiene nel paper scritto con Ardagna, che il risultato migliore è ottenuto da tagli alla spesa accompagnati da modeste riduzioni delle tasse. Fisco pesante solo in casi estremi. La situazione di questi mesi, sostiene Cottarelli, ci dice che ci sono alcune eccezioni alla regola secondo cui l’aggiustamento va basato tutto sulla spesa in modo da ridurre l’impatto sulla crescita. «Oltre un certo livello - afferma - quando le misure da prendere sono molto pesanti, diciamo che superano il 10% del Prodotto interno lordo, come nel caso recente della Grecia, è impossibile pensare di rimettere ordine nel bilancio solo con tagli alla spesa. Si arriverebbe a un punto in cui la riduzione della spesa diventerebbe politicamente insopportabile. C’è il rischio di eliminare, oltre agli sprechi, anche la spesa pubblica "buona"». Quinta domanda Qual è il livello massimo del debito pubblico perché non danneggi la crescita? «Non lo sappiamo». In una dichiarazione di umiltà rara nella sua professione, Alesina ammette che «noi economisti non dobbiamo pretendere di sapere quello che non sappiamo. E una delle cose che non sappiamo è qual è il livello del debito pubblico ottimale. Un numero preciso non lo conosciamo. Ci vuole più modestia». Di certo, fra il suo paese di nascita, l’Italia, dove il debito è quasi al 120% del Pil e quello dell’Estonia, rappresentata dal ministro delle Finanze, Jurgen Ligi con un debito al 7%, il divario è abissale. «Il livello giusto - ha osservato salomonicamente l’ex ministro spagnolo, Pedro Solbes, pensando anche alle vicende recenti del suo paese - è quello che ispira fiducia nei mercati». «Il limite è il 30%». «Non facciamo l’errore - afferma Cottarelli - di pensare che stabilizzare il debito pubblico ai livelli post-crisi sia sufficiente». Il Fondo monetario internazionale ha stimato che rispetto a prima della crisi i paesi industriali hanno accusato una vera e propria esplosione del debito, dall’80% circa del pil al 115 per cento. Un livello molto lontano dalla soglia al di sotto della quale (il 30% circa) l’Fmi ritiene che il debito possa avere un effetto positivo sull’economia. «I paesi con un debito pubblico più alto, crescono di meno», dice l’economista del Fondo. Una lezione che senz’altro avrà imparato anche osservando la realtà italiana.