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 2013  ottobre 06 Domenica calendario

ADDIO LIZZANI, GENIO DEL CINEMA ITALIANO


Aveva 91 anni, Carlo Lizzani, regista e produttore. È morto ieri lasciandosi cadere dal balcone al terzo piano della sua casa a Roma, in via dei Gracchi. Dagli anni ’40 ha lavorato contribuendo all’affermazione del Neorealismo. Una fine che ricorda quella di Mario Monicelli che, gravemente malato, nel novembre 2010 si gettò nel vuoti all’ospedale San Giovanni.



Ancora un amico carissimo che se ne va, Carlo Lizzani, un grande autore di quel cinema italiano che, attraverso gli anni, ha finito per diventare la mia seconda famiglia, prodiga purtroppo, come la mia naturale, di lutti continui. Questo che mi colpisce oggi mi ha fatto ripercorrere con partecipazione fraterna quel lungo periodo in cui, uno a fianco dell’altro, ho condiviso con Carlo idee e sentimenti per entrambi fondamentali, a cominciare da quelli dell’antifascismo che, durante la clandestinità, mi avevano visto partigiano, annotando poi con gioia, subito dopo la Liberazione, quella sua ferma adesione, con il cinema, ai principi e ai metodi del nostro amato Neorealismo nel cui ambito, dopo collaborazioni felici con Rossellini, De Santis, Vergano, aveva potuto esordire come regista in «Achtung! Banditi» (1951) in omaggio a una bella pagina della Resistenza in Liguria. Presto salutato da un premio al Festival di Cannes per quel film, «Cronache di poveri amanti» (1954) da Pratolini dove, con seria conseguenza, tracciava un quadro deciso e fortemente polemico di quegli anni Venti in cui il fascismo era arrivato al potere. Continuando, durante la sua carriera, ad esplorare quei momenti in cui sempre il fascismo era continuamente di scena con i suoi innumerevoli guasti. Ecco così «Il processo di Verona» (1963), con lo scontro di Edda Ciano con quel padre che aveva deciso di mandare a morte tutti quelli, a lui vicini, che finalmente gli si erano ribellati. Concludendo quella ricerca civile con «Mussolini ultimo atto» (1974), sulla fine del dittatore travestito da militare per non farsi riconoscere nella sua fuga. Lasciando ancora un forte segno con uno dei suoi ultimi film, «Hotel Meina» (2007), dove i nazisti nel ’43 finivano per avere purtroppo la meglio ai danni di un gruppo di ebrei che avevano tentato di nascondersi in un albergo sul Lago Maggiore (anche quella, come le altre, una storia vera).
In parallelo con questi film di riflessione politica, Lizzani ad ogni modo è stato pronto a regalarcene anche altri abilmente tenuti su versanti diversi. «Il gobbo» (1960), fra gli interpreti anche Pier Paolo Pasolini, con un linguaggio, per un fatto autentico di cronaca nera, saldamente ripreso dal più aspro Neorealismo; «La vita agra» (1964), metafora dura, sulle orme di Bianciardi, dell’Italia ai tempi del boom, protagonista Ugo Tognazzi; «Lo svitato» (1955), una commedia animata dalla presenza vivida di Dario Fo anche sceneggiatore, seguita, in quelle stesse cifre, dal «Carabiniere a cavallo» (1961), con Nino Manfredi, Peppino De Filippo, Luciano Salce, scritto con Pietrangeli e Scola; «Banditi a Milano» (1968), «Romabene» (1971), «Kleinhof Hotel» (1978), su momenti quasi immediati di cronache dal vero, anche se, quest’ultimo, ambientandosi a Berlino, metteva l’accento sul terrorismo in quegli anni in Germania; «Fontamara» (1980), da Silone, sulle lotte contadine in Abruzzo; «La casa del tappeto giallo» (1982), un thriller con tensioni fortissime; «Mamma Ebe» (1985), sul processo a una santona accusata di truffa. Senza dimenticare, nel 1995, «Celluloide» in cui Lizzani, sorretto dalle tante apprezzate sue competenze di storico del cinema italiano, evocava quasi in diretta le fatiche di Rossellini per poter realizzare «Roma città aperta», ricordandosi probabilmente anche degli anni in cui era stato al suo fianco come sceneggiatore di molti suoi film.
Nel momento triste del commiato, non posso però dimenticare quegli anni fecondi della sua direzione della Mostra di Venezia durante i quali, collaborando insieme, intendeva generosamente prepararmi a succedergli, e, fino ai suoi ultimi giorni, quella sua intelligente presenza fra i componenti il Consiglio Direttivo dell’Accademia del Cinema Italiano, da me presieduta sempre con il suo sostegno illuminato e affettuoso. Anche di questo, perciò, e non solo come critico, tengo a ringraziarlo commosso.
Gian Luigi Rondi