Michele Pignatelli, Il Sole 24 Ore 6/10/2013, 6 ottobre 2013
SORPRESA A DUBLINO, BOCCIATA LA PROPOSTA DI ABOLIRE IL SENATO
Smentendo clamorosamente i pronostici della vigilia, gli irlandesi hanno respinto di stretta misura la proposta di abolire il Senato: il referendum, promosso dal governo di Enda Kenny, ha registrato una vittoria del «No» con il 51,7% dei voti, appena 42.500 in valore assoluto. I sondaggi assegnavano al «Sì» il 60-70% dei consensi, anche se molti erano gli indecisi.
Pur senza voler enfatizzare una consultazione che ha registrato un’affluenza di poco superiore al 39% degli aventi diritto, si potrebbero riprendere gli slogan delle due campagne e parlare di una vittoria della democrazia contro l’austerity. Il premier e i suoi ministri avevano infatti motivato la decisione di abolire la Camera alta - definita un organismo inutile ed elitario - con i risparmi che avrebbe garantito in tempi di austerity: circa 20 milioni all’anno, secondo le stime del governo; i fautori del «No», guidati dal Fianna Fail, principale partito di opposizione, avevano fatto invece del Senato una sorta di baluardo democratico contro la deriva autoritaria e accentratrice del governo, una struttura da riformare ma non da abolire. Argomenti che potrebbero aver fatto presa su fierezza e spirito di indipendenza che da sempre caratterizzano gli irlandesi, insieme al rifiuto del premier di prendere parte ai dibattiti televisivi.
Va detto tuttavia che il Senato a Dublino è davvero un organismo di rilevanza finora limitata per la democrazia: è composto da 60 membri non eletti direttamente dai cittadini, ma nominati dal premier, da senatori uscenti, deputati e rappresentanti locali, o dalle università. Il potere più rilevante nelle mani dei senatori, che non possono bocciare una legge approvata dalla Camera bassa, è quello di rinviarne al massimo per tre mesi l’entrata in vigore. Ed è un potere che il "Seanad" ha esercitato solo due volte in 75 anni.
La chiave di lettura più probabile di questo risultato è forse la volontà di mandare un segnale di protesta al governo, dopo anni di rigore seguiti al salvataggio da 67,5 miliardi concesso all’Irlanda dai creditori internazionali in cambio, appunto, di tagli e riforme. Più che vedere nel referendum la mano tesa della politica, disposta a fare a sua volta sacrifici dopo l’austerity imposta ai cittadini, gli irlandesi avrebbero "punito" il governo artefice di quella austerity.
In ogni caso, si tratta di un duro colpo, almeno di immagine, per il premier, che il 15 ottobre dovrà far digerire un altro budget di "lacrime e sangue": si parla di circa tre miliardi, per onorare gli impegni con la troika e garantire all’Irlanda quella credibilità che le potrebbe consentire, a fine anno, di tornare a finanziarsi sui mercati autonomamente. Kenny, per il momento, ha incassato il colpo: «A volte in politica si prendono bastonate - ha commentato. - Accetto il verdetto popolare».