Fabrizio Galimberti, Il Sole 24 Ore 6/10/2013, 6 ottobre 2013
PERCHÉ OGGI L’INFLAZIONE È UN’EX «BESTIA NERA»
Per i ragazzi di oggi lo spauracchio dell’inflazione non è più uno spauracchio. Ma i genitori si dovrebbero ricordare i tempi in cui l’inflazione era un problema. Cos’è l’inflazione? C’è una definizione asettica, che dice: l’inflazione è l’aumento dei prezzi. Ma, quando si tratta dell’inflazione come problema, ci si riferisce a un aumento forte dei prezzi. Allora, perché un aumento forte dei prezzi è un problema? L’inflazione è stata per molti anni una specie di "bestia nera" dell’economia italiana. Negli anni Cinquanta e Sessanta c’era poca inflazione. Ma l’inflazione arrivò quando, dopo un lungo periodo di crescita, l’economia si avvicinò al tetto della piena occupazione. Vicino a quel tetto i prezzi cominciano ad aumentare: la domanda cresce, i lavoratori chiedono più salario, i datori di lavoro sono più disposti a concedere aumenti salariali per attirare quel lavoro che comincia a essere scarso, e poi per rifarsi aumentano i prezzi...
L’inflazione è una brutta cosa? Dipende: se rimane moderata non ci sono problemi. Ma l’inflazione ha la cattiva abitudine di diventare un problema: i salari aumentano, i prezzi pure... e poi i lavoratori che vedono i prezzi che aumentano chiedono altri aumenti di salario, e riparte un altro giro: prezzi e salari si rincorrono senza fine, senza che il potere di acquisto - cioè i beni e servizi che si possono comprare col salario - migliori veramente. E c’è di peggio: il Paese è diventato più caro, i salari sono aumentati se espressi in moneta estera e quindi diventa più difficile per chi esporta vendere all’estero.
Per correggere questa situazione ci vuole una svalutazione della moneta nazionale. Ma questa svalutazione fa rincarare i prezzi di quel che si importa, per esempio il petrolio, e questo rincaro diventa un’altra causa di inflazione e riparte la spirale prezzi-salari.
Ci sono tante misure dell’inflazione. Si possono misurare i prezzi al consumo, cioè i prezzi di quei beni, compresi nel cosidetto "paniere", che sono consumati dalle famiglie italiane. C’è dentro "di tutto e di più", dal pane alla benzina, dai biglietti del treno al bollo dell’auto, dal prezzo delle moto ai ticket della sanità... E ognuno di questi prezzi è "pesato" a seconda di quanto le famiglie italiane spendono per quel bene. Ci sono poi i prezzi alla produzione. Prendiamo per esempio la Nutella. Il prezzo al consumo della Nutella è quello che pagate al supermercato. Il prezzo alla produzione è quello che la casa produttrice della Nutella fa pagare al supermercato.
Tutti questi prezzi hanno dentro anche i prezzi dei beni importati: per esempio, la benzina è legata al prezzo del petrolio, il telefonino viene da Taiwan, nella Nutella c’è il cacao che viene da Paesi lontani... allora, se l’inflazione cresce, come si fa a capire se è colpa dei prezzi dei beni importati, o se è un’inflazione "fatta in casa", cioè innescata da aumenti esagerati dei salari o dei profitti?
C’è una misura dell’inflazione che risponde a questa domanda, e si chiama "deflatore del Pil". Il Pil - vedi il Sole Junior dell’8-1-12 - è fatto di salari e profitti, non ci sono dentro le importazioni. È possibile calcolare i "prezzi del Pil", e questi particolari prezzi sono la misura dell’inflazione "fatta in casa". Il grafico mostra due misure dell’inflazione: una che è, appunto, il deflatore del Pil, e l’altra che è il deflatore dei consumi delle famiglie. La prima misura non contiene i prezzi dei beni importati, la seconda sì. Come vedete dal grafico, l’inflazione in Italia si impennò all’inizio e alla fine degli anni Settanta, in corrispondenza di due crisi petrolifere legate al Medio Oriente, l’area da cui proveniva la maggior parte del petrolio. La guerra fra Israele e Paesi arabi prima e la rivoluzione in Iran dopo fecero esplodere il prezzo del petrolio.
Avrete notato che le due misure sono molto vicine. Sì, perché se è vero che in prima battuta il rincaro dei prezzi dell’import (come successe con i prezzi del petrolio) non influenza l’inflazione "fatta in casa", in seconda battuta questo impatto c’è. Se aumenta, per esempio, il prezzo della benzina o quello di altri beni di prima necessità, questo rincaro va a rinfocolare le rivendicazioni salariali. E poi c’è l’effetto contagio: il macellaio aumenta il prezzo della fettina perché ha sentito che i prezzi aumentano...
Fondamentalmente, l’inflazione è una cattiva cosa, sia per quel che si è detto (diventa un cane che si morde la coda e rende il Paese più caro) sia per ragioni di equità. Sono i più deboli che soffrono dell’inflazione, perchè non possono aumentare i loro redditi quando i prezzi aumentano. Una situazione, quindi, che crea tensioni sociali, sensazioni di ingiustizia che favoriscono l’insorgere dell’estremismo, come successe in Italia negli anni Settanta: i cosidetti "anni di piombo" furono segnati dal terrorismo.
Oggi tuttavia l’inflazione non è più un problema. I prezzi sono tenuti a bada dalle importazioni di tanti beni da Paesi emergenti - pensate a tanti prodotti cinesi - e dal fatto che l’economia non cresce, e questa bassa crescita non favorisce le rivendicazioni salariali, e blocca quindi la spirale prezzi/salari.
Finora abbiamo parlato dell’inflazione. Ma esiste anche la deflazione, cioè una situazione in cui i prezzi scendono. Ne parleremo la prossima volta, ma diciamo fin d’ora che, contrariamente a quel che si potrebbe pensare, la deflazione è ancor più brutta dell’inflazione.
fabrizio@bigpond.net.au