Gianni Mura, la Repubblica 6/10/2013, 6 ottobre 2013
LA RAGION DI STATO SULL’ETICA DEL PALLONE
ENNESIMA puntata su Balotelli. Prandelli l’ha convocato in azzurro e sembra sia stata una decisione molto sofferta. Me lo auguro e convengo: non era facile decidere, quale che fosse la decisione. Questa mi comunica una sensazione di disagio e non la condivido. Non dico che sia sbagliata, solo che non mi convince. In particolare, non mi convince la valutazione burocratica del caso: la squalifica scade alle ore 24 del tot giorno, quindi il mattino dopo il giocatore è libero di rispondere alla convocazione in quanto ha già scontato la punizione. Etica e burocrazia non sono nate per andare a braccetto e lo dico ben sapendo che nel calcio la ragion di stato quasi sempre prevale. Balotelli è un giocatore importante, molto importante, e bruciarlo a pochi mesi dal mondiale non conviene a nessuno. Nemmeno a lui, però, converrebbe cacciarsi in situazioni (parlo solo del campo, ovviamente) che gli fanno rischiare troppo spesso l’esclusione. Come ho lodato Prandelli per il varo in azzurro del codice etico, così ora lo critico (5) per averlo, se non ignorato, aggirato. E non mi venga a dire, il ct, che s’è intenerito per il mea culpa recitato senza molta convinzione dal giocatore, sotto l’accorta regia del suo procuratore. E’ dai comportamenti sul campo che si può capire se Balotelli è cambiato. E l’ultima partita, con l’Ajax, ha ribadito che Balotelli è sempre quello, nel bene e nel male.
Ho letto che al Milan per Balotelli stanno pensando a un tutor, parola che preferisco non anagrammare. E propongo: esisterà pure qualcuno di cui Balotelli si fida. Qualcuno che gli possa dire che un bravo attaccante di colpi ne ha sempre presi. Tanto più un attaccante dal fisico statuario, come si usa dire. Balotelli non è Baggino o Zola o Maradona, è invece un tipo robusto che con una mossa di judo può far volare il suo marcatore e magari ottiene pure un rigore a favore. Non è combattendo una guerra personale con avversari e arbitri che può cavarsela e non sempre troverà, in carriera, un tecnico comprensivo come Prandelli. E scegliere da che parte stare dipende solo da lui.
Mi permetto di criticare il ct? Certo, siamo in Italia e non in Romania. Dove, informa la Gazzetta, negli ultimi quattro anni sono stati rimossi cinque giornalisti ’troppo critici’ su intervento di dirigenti calcistici. L’ultimo, Horia Ivanovici, noto volto della tv, silurato ’per aver criticato l’attività della federazione’. All’origine delle rimozioni il presidente di Lega, il presidente della Steaua Gigi Becali (bel nome da sindaco leghista), il general manager della Steaua Mihai Stoica e il presidente federale Mircea Sandu. In Italia queste cose non succedono, o non ancora. Non nel calcio, almeno, anche se era un dirigente calcistico Berlusconi ai tempi dell’editto di Sofia, per cui la Rai silurò Enzo Biagi (e ne rimasi molto indignato e addolorato), Luttazzi (meno) e Santoro (per nulla). Ed è un dirigente calcistico Urbano Cairo che a La7 sta procedendo a una normalizzazione pesantuccia. Ma Abete che chiede la testa di un giornalista non riesco proprio a immaginarmelo. Anche perché può pure capitare di elogiarlo: la lettera inviata ai papaveri del pallone perché vigilino sulle condizioni di lavoro degli operai che stanno già sgobbando (e morendo)per il mondiale in Qatar è un segnale di presa di coscienza. Un segnale piccolo ma utile, se verrà raccolto da molte altre federazioni.
Un segnale non piccolo dalle serie minori. Dalla Gazzetta apprendo che un giocatore del Catanzaro, Germinale, è stato squalificato per cinque giornate: per aver colpito con un calcio alla testa un avversario che si trovava a terra e, una volta espulso, per avere insultato e minacciato l’arbitro. Segnale non piccolo, estremamente grave. Chi prende a calci in testa un avversario steso a terra, che nemmeno può difendersi, andrebbe fermato per tre mesi almeno. Altrimenti si finisce per trovare eccessive le tre giornate a Balotelli, che non ha preso a calci in testa nessuno. Senza voler giustificare chi dice ’ti ammazzo’ a un arbitro, mi sembra che continui a esistere una netta sproporzione tra le conseguenze delle parole e quelle dei fatti. Cresciuto in un bosco di proverbi, alcuni non li ho mai condivisi, tipo ’ne uccide più la lingua che la spada’. Dal mio punto di vista hanno più morti sulla coscienza le spade (ammesso che abbiano una coscienza) e non le lingue.
A proposito di lingue. E’ negli annali un’intervista in latino di Brera a Paavo Nurmi. Venerdì ho ripensato alla mia unica intervista in russo. E’ morto a 69 anni Sergei Belov, uno dei grandissimi del basket. Lo chiamavano il Divino, o Amerikanski. Lui e l’omonimo Aleksander, che segnò il canestro decisivo, erano nella squadra che sconfisse 51-50 gli Usa nella finale olimpica di Monaco ’72. Non so il russo, fece da interprete Valerio Piccolo, figlio di Romano, che a Caserta ricordano ancora. Belov il Divino allenava a Cassino, in B2, e se c’era da lavorare di spazzolone sul parquet non si faceva pregare. Era un vero cavaliere dello sport, Sergei Belov. Gli sia lieve la terra.