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 2013  ottobre 06 Domenica calendario

INDOVINA CHI VIENE A CENA


Se le mele vi piacciono croccanti e un po’ acidule, mettetevi il cuore in pace. Quelle del futuro saranno più molli e più dolci. Per un grande classico come la torta di mele inizia una nuova era, forse un po’ troppo zuccherosa. Anche per sciacquarsi la bocca e i denti da tutto quel dolciastro, bisognerà cambiare abitudini: un frizzante vino inglese del Sussex, magari, o un corposo vino del Reno. E il buon vecchio Chianti? Roba da supermercato di periferia. Sono gli effetti del riscaldamento globale. Anticipando le stagioni, assicurano una vendemmia più abbondante, ma negano ai frutti la lunga e lenta maturazione al sole, privandoli del gusto e dell’aroma che siamo abituati ad associare ai vini delle colline fra Firenze e Siena o alle verdi mele Granny Smith. Naturalmente, non sono queste le tragedie legate all’effetto serra e all’eccesso di anidride carbonica nell’atmosfera che aprono invece la strada, dicono gli esperti, a un mondo «tormentato da acute siccità, interrotte solo da devastanti inondazioni». E, comunque, anche nelle ipotesi meno catastrofiche, dovranno cambiare abitudini più importanti e più diffuse. Facile, per esempio, che quella torta di mele, anziché con farina di frumento, sia stata preparata con farina di amaranto, una pianta assai più adatta del grano a resistere alla siccità.
Eppure, la crisi alimentare prossima ventura non è necessariamente legata all’effetto serra. Più esattamente, il dramma è che, pur se, con un miracolo, sfuggissimo al riscaldamento globale, la crisi ci sarebbe lo stesso. La possiamo chiamare la crisi delle proteine. Animali, nel caso specifico. Da quando abbiamo fatto posto a tavola a qualche miliardo di cinesi e indiani, che reclamano giustamente la loro quota di carne e formaggi, si è scoperto che non ce n’è abbastanza per tutti. E, soprattutto, che non ce ne sarà mai. Nel 2000 il mondo consumava 14 milioni di tonnellate di bistecche e fettine. Nel 2030, ne chiederà 39 milioni di tonnellate. Eravamo a 21 milioni di tonnellate di salami e salsicce. Arriveremo a 56 milioni. Nel 2000 bastavano 22 milioni di tonnellate di cosce e petti di pollo. Nel 2030 ce ne vorranno 82 milioni di tonnellate. In breve: da qui al 2050, la domanda di proteine animali crescerà del 75 per cento. Ora, i conti sono semplici: non c’è abbastanza posto nel mondo per allevare tutti gli animali che sarebbero necessari. Per dirla con Bill Gates, «non potremo mai dare da mangiare carne a nove miliardi di persone, quante ne ce saranno nel 2050». Molti vegetariani non la considerano affatto una tragedia. Tuttavia, una dieta che aggiri del tutto le proteine animali non è semplice. E, se anche noi europei e americani ne mangiassimo di meno, il problema, in prospettiva, non sarebbe risolto. Dove trovare, dunque, le proteine?
Il primo hamburger prodotto in laboratorio, allevando cellule staminali di una mucca, è stato cotto e mangiato in diretta tv il 5 agosto scorso, negli Stati Uniti. Caldo e croccante, assicura chi l’ha assaggiato, ma poco saporito. «Sembra una focaccia» hanno detto. Non è l’unica via di ricerca. Sempre negli Usa, si stanno creando strisce di similpollo, partendo dai vegetali, un po’ come il tofu con la soia. «Ottimo, sembra proprio pollo» assicura Gates, che finanzia l’iniziativa. Un’altra start-up punta a creare, sempre dai vegetali, l’equivalente di polvere di uova, eliminando lo scandalo delle galline in batteria. La strada hi-tech, però, sembra ancora lunga. Ma non sono di certo le soluzioni che mancano.
Prendete la cappella, tagliatela a strisce sottili e servitela cruda con cetrioli e finocchi, in salsa di aceto aromatico, aglio e olio di sesamo. Non stiamo parlando di funghi, ma di meduse. Grassi cinque per cento, proteine ottanta per cento. Abbondanti in mare, anche nelle specie non velenose e commestibili. I cinesi (che in cucina non si fanno mancare niente) le mangiano così, a mo’ di insalatona primavera. Sfortunatamente, sono facilmente deperibili. Normalmente, quindi, vengono salate ed essicate. Poi si spugnano come il baccalà, prima di servirle. Croccanti, ma sanno di poco. È lo stesso problema delle alghe, anch’esse ottime e abbondanti (le mangiano i giapponesi) e della carne di laboratorio. La crisi delle proteine è, anzitutto, una crisi dei sapori?
Se così fosse, non resta che chiudere gli occhi e fare il grande salto verso un cibo abbondante e saporito: gli insetti. Non è un salto nel buio. Due miliardi di persone, dall’Africa alla Cina, mangiano regolarmente, nell’ordine: scarabei (i più popolari), bruchi, vespe, formiche, cavallette, locuste, cicale. Stranamente,mancanell’elenco quella che gli scienziati considerano il cibo potenzialmente più nutritivo: la larva della mosca comune. In ogni caso, i numeri sono dalla loro parte. Ci sono quaranta tonnellate di insetti per ogni essere umano, assicurando riserve pressochè inesauribili. La Fao elenca millenovecento specie di insetti commestibili, garantendo una dieta variata. I parametri produttivi farebbero venire l’acquolina in bocca a qualsiasi economista. Considerato quel che mangia un bovino, ci vogliono dieci chili di vegetali per arrivare a un chilo di vitello. Con gli stessi dieci chili di vegetali si ottengono 6-8 chili di insetti. Non c’è problema di infrastrutture perché, al contrario degli altri animali, amano, anzi, stare un po’ ammucchiati. Infine, la resa: un etto di vitello si traduce in 26 grammi di proteine, un etto di cavallette in 20,6 grammi.
Ecco perché se l’America pensa alla carne di laboratorio, in Francia c’è un’azienda che vende terrine di cavallette grigliate e un’altra che distribuisce barrette energetiche a base di polvere di insetti. C’è anche un libro di ricette (The Insect Cookbook): la ricetta regina è larve di libellula fritte con foglie di menta piperita. L’inventiva che manca. All’università olandese di Wegeningen, il buffet offre involtini primavera di cavallette marinate in salsa thailandese, budino di cioccolato di vermi e una quiche lorraine non al prosciutto, ma ai vermi.
Tutto ciò vi fa, anzitutto, schifo? Questo è esattamente il problema che i profeti della dieta a base di insetti disperano di poter superare, almeno a livello di massa. Difficilmente, anche in futuro, le terrine di cavallette grigliate arriveranno nel supermercato sotto casa. Questo non vuol dire che non ci arriveranno gli insetti. Probabilmente, finiremo per mangiarli — consapevolmente o no — macinati: in hamburger o in salsicce. Oppure, più facilmente, in polvere da aggiungere ai cibi. Ecco cosa diremo a tavola, nel 2050: «Per favore, mi passi la scarabiera?».