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 2013  ottobre 06 Domenica calendario

VERTICI CANCELLATI IN ASIA E EUROPA USA, DIMEZZATA ANCHE LA DIPLOMAZIA


«Ai nostri amici e alleati nel mondo dico: non scambiate gli episodi di questi giorni della politica americana per nulla di diverso dalle difficoltà momentanee di un sistema. Appena ci saremo messi alle spalle questa parentesi di stupidità politica, torneremo sui binari che ci hanno fin qui garantito il rispetto del mondo». A Bali per il vertice economico dei Paesi asiatici al posto del presidente Obama, bloccato a Washington dallo shutdown del governo federale (ormai al sesto giorno), il segretario di Stato, John Kerry, ha sentito il bisogno di rassicurare così gli alleati degli Stati Uniti. Soprattutto quelli del Sud-Est asiatico e delle regioni bagnate dal Pacifico (Corea, Taiwan, Giappone Filippine e altri) che dipendono dall’«ombrello» americano per la loro sicurezza e che assistono con crescente sconcerto e viva preoccupazione alle convulsioni che paralizzano Washington.
Kerry garantisce che gli Usa continueranno ad adempiere alle loro responsabilità anche in questo periodo di parziale blocco amministrativo, ma le sue parole sembrano più un «cerotto» diplomatico appiccicato sulle lacerazioni dell’immagine dell’America che un discorso capace di resistere alla ricerca di riscontri sostanziali: la realtà è che, con l’Amministrazione semiparalizzata, si è fermato il negoziato commerciale transatlantico (il «round» della trattativa Usa-Ue che doveva iniziare la prossima settimana a Bruxelles è stato cancellato). Inoltre, rinunciando al viaggio asiatico (visita ai Paesi alleati e partecipazione ai due più importanti vertici economici e politici dell’anno, quelli dell’Apec e dell’Asean) Obama si è preclusa la possibilità di dare una spinta decisiva alla Trans-Pacific Partnership, l’alleanza commerciale degli Usa con 13 Paesi dell’area dalla quale è stata esclusa la Cina.
Pechino ringrazia. Cina e Russia saranno ai due vertici di Bali e nel sultanato del Brunei coi loro presidenti, gli Usa solo con un ministro: ai partner, già da tempo nervosi per il ridimensionamento della presenza e dell’influenza americana nel mondo, giudicare se queste sono davvero solo problemi momentanei.
Non la pensa così, ad esempio, il presidente del Council on Foreign Relations, Richard Haas: «Il cattivo funzionamento delle istituzioni politiche americane sta diventando la più grande minaccia alla nostra sicurezza nazionale». Per Haas il problema non è solo lo shutdown che, prima o poi, rientrerà: il problema vero è la crescente ingovernabilità di un sistema politico nel quale un Congresso spaccato è in guerra permanente con la Casa Bianca mentre nessuno si preoccupa di contrastare la bolla di neoisolazionismo che cresce nelle rappresentanze parlamentari dei due partiti e nel Paese.
«Non è questo il modo di governare un Paese», tantomeno la superpotenza mondiale la cui stabilità è essenziale, tuona nel suo editoriale d’apertura l’Economist che accusa i repubblicani: «Bloccano il governo non perché contrari al suo bilancio, ma perché vogliono sconfiggere Obama su un terreno completamente diverso». Se la spuntassero «si creerebbe un precedente che rischierebbe di rendere l’America davvero ingovernabile».
«Il danno principale è la perdita di credibilità e anche di prevedibilità dell’America» aggiunge Haas: «Un Paese è una grande potenza solo se si può prevedere come si comporterà. E noi stiamo diventando imprevedibili». Il capo del Council aggiunge qualche esempio: «Non sono sicuro che, se gli Usa sigleranno un trattato commerciale con la Ue o i Paesi asiatici o se raggiungeremo un accordo sul nucleare con l’Iran, il Congresso ratificherà queste intese».
«Colpa di chi in Congresso fa la politica della terra bruciata anziché cercare un terreno comune d’intera» sostiene l’ex segretario di Stato Hillary Clinton (e possibile candidato alla Casa Bianca 2016: «Comincerò a pensarci seriamente — ha detto due giorni fa — tra un anno»). Mentre la Camera, in un raro momento di concordia, ieri mattina ha votato all’unanimità una leggina che consente di pagare lo stipendio anche agli 800 mila dipendenti pubblici rimasti a casa per effetto dello shutdown. E il Pentagono ha annunciato che da domani richiamerà al lavoro la maggior parte dei 400 mila dipendenti civili del Pentagono.
Massimo Gaggi