Erika Dellacasa, Corriere della Sera 6/10/2013, 6 ottobre 2013
«NON ABBIAMO ABBASTANZA NAVI PER I PATTUGLIAMENTI»
Quando il presidente Napolitano ha detto, venerdì, che «servono più navi» per far fronte al dramma dei disperati del mare il capo di Stato maggiore della Marina Giuseppe De Giorgi dev’essersi sentito rincuorato: la Marina ha pronto un progetto per 14 pattugliatori di nuovissima concezione, il problema ora è ottenere l’approvazione del governo. Ieri il ministro della Difesa Mauro al centro incursori del Varignano si è detto convinto «che governo e Parlamento non si tireranno indietro davanti all’eventualità di una legge navale». Tuttavia, investire oggi in navi da guerra solleva obiezioni. Il M5S ha già protestato: meglio mezzi di soccorso. «È un’obiezione che non esiste — spiega l’ammiraglio De Giorgi —. Ormai le navi, e queste in particolare sono duali: possono essere usate, anzi sono usate soprattutto, per scopi civili e di soccorso. La verità è che una nave vecchia di trent’anni come la corvetta Danaide, anche se coadiuvata da altre unità, non basta a pattugliare le acque della Sicilia e la tragedia di questi giorni è destinata a ripetersi. La flotta italiana è vecchissima e se non si interviene si estinguerà nel giro di dieci anni, siamo al default. Ma costruire navi di solo soccorso è inutile, un controsenso e uno spreco».
Nel progetto i pattugliatori hanno la possibilità di accogliere 300 naufraghi (in caso di emergenza anche più), trasbordandoli in modo sicuro in alto mare dai gommoni alla pancia della nave, che ospita un ospedale attrezzato. «Pensiamo — dice De Giorgi — al soccorso ai profughi ma anche all’intervento in caso di alluvioni o calamità naturali che isolino paesi, come accaduto alle Cinque Terre. Queste unità possono fornire energia elettrica e acqua potabile a comunità di 6.000 persone». Ma tornando alla strage di Lampedusa, il punto, dice De Giorgi, è pattugliare in modo sistematico i corridoi degli scafisti, avvistare per tempo le imbarcazioni «che trafficano in uomini», ancora meglio «individuare i punti di imbarco con la collaborazione, quando è possibile, dei Paesi della costa Mediterranea e scongiurare alla partenza questi drammi». Oggi, dice l’ammiraglio, le nostre capacità di controllo e dissuasione sono inadeguate, ha ragione l’Ue. Ma l’emergenza è ora, costruire navi non è cosa di un giorno. «Due anni, questo tempo basterebbe a realizzare le prime due unità: navi robuste, dallo scafo semplice». Non sarebbe bene fare qualcosa subito? «Si dovrebbe e si potrebbe. C’è un sistema di raccolta e organizzazione dati realizzato dalla Marina che si chiama Dism: Dispositivo interministeriale integrato di sorveglianza marittima. Pronto ma inutilizzato perché ci sono resistenze sulla potenziale sottrazione di competenze. Tutte le agenzie nazionali e i corpi militari e di polizia dovrebbero far convergere nel Dism i loro rilevamenti, incrociandoli si potrebbe agire con più certezza e tempestività. Se noi potessimo interfacciare tutti i dati su chi si muove nel Mediterraneo saremmo molto avvantaggiati. Si tratta di condividere informazioni, nessuno perderebbe autonomia». E fatto il primo passo, si potrebbe collegarsi a simili organismi internazionali.
Erika Dellacasa