Cristiano Dell’Oste Gianni Trovati, Il Sole 24 Ore 5/10/2013, 5 ottobre 2013
CASE FANTASMA, DOTE DA 600 MILIONI
MILANO
Sette anni di lavoro, quasi 1,3 milioni di immobili sconosciuti al Fisco individuati, e 589 milioni di maggior gettito all’anno. Più eventuali arretrati, che potrebbero portare fino a 2 miliardi aggiuntivi.
È il bilancio definitivo diffuso ieri dall’agenzia delle Entrate sull’operazione "case fantasma". Una ricognizione che, per numeri ed estensione, primeggia senza dubbio fra le azioni di lotta al sommerso intraprese negli ultimi anni dall’amministrazione finanziaria. Anche se restano ancora alcune incognite sui possibili risultati finali: molti edifici fantasma, infatti, potrebbero essere abusivi (e quindi da demolire), e in alcuni casi potrebbe trattarsi di vecchi fabbricati di fatto abbandonati e ancora intestati a defunti o emigranti, il che potrebbe complicare il recupero della tassazione.
Sette anni di verifiche
I numeri finali sono stati pubblicati dopo la chiusura dell’ultimo capitolo degli accertamenti, che ha interessato 492mila immobili con una rendita presunta complessiva per 288 milioni di euro, ma la storia è lunga. L’incipit è rappresentato dal "collegato fiscale" alla Finanziaria 2007 (Dl 262/2006, articolo 2, commi 36 e seguenti). Da allora, l’agenzia del Territorio e l’Agea (l’agenzia per le erogazioni in agricoltura) hanno fotografato dall’alto tutto il territorio italiano e hanno confrontato le immagini con le risultanze catastali, individuando più di 2 milioni di "particelle" con potenziali anomalie: in pratica, mappe catastali su cui non erano stati iscritti fabbricati che invece si vedevano dalle foto. Case, magazzini, box auto, in qualche caso addirittura palazzine e capannoni agricoli o industriali.
Una volta pubblicati gli elenchi di particelle con le situazioni a rischio, è iniziata la campagna di verifiche sul campo, condotta anche in collaborazione con i geometri. Tra accatastamenti d’ufficio e adempimenti spontanei dei proprietari, si è scoperto che metà delle particelle a rischio ospitavano davvero immobili da accatastare (le altre contenevano tettoie mobili, teloni, baracche o comunque altri manufatti da non iscrivere in Catasto).
A ognuno degli 1,26 milioni di fabbricati trovati per questa via è stata attribuita una rendita «presunta», fondata su dimensioni, condizione e collocazione dell’immobile.
Il potenziale in gioco
In più del 60% dei casi la rendita – che è la base su cui si calcolano le tasse sul mattone – è già definitiva. Risultato finale: è riemersa una rendita totale di 825 milioni di euro, che rappresenta un patrimonio stimabile nell’ordine dei 100-130 miliardi e può portare nelle casse della pubblica amministrazione 589 milioni all’anno secondo i conteggi del dipartimento Finanze. In larga parte, il nuovo gettito atteso spetta ai Comuni sotto forma di Imu (444 milioni, che solo se generato da capannoni e alberghi viene dirottato in parte allo Stato), mentre il resto finirà al bilancio statale perché prodotto dagli affitti (Irpef, cedolare secca e, per 7,5 milioni residui, imposta di registro). Più complessa la questione degli arretrati: in generale il recupero può risalire fino a cinque anni, ma nel caso di questi immobili la rendita entra in gioco dal 1° gennaio dell’anno in cui sono stati pubblicati gli elenchi. Come accennato sopra, l’operazione è stata condotta in più tranche, per cui solo le case scoperte per prime vedono rischiano di dover pagare dal 2007 in poi.
Su tutto incombe però la variabile della regolarità edilizia, che dovrà essere affrontata caso per caso dai Comuni. Se l’immobile iscritto in Catasto presenta regolarità non sanabili, il sindaco sarà tenuto a ordinare la demolizione.