Mario Serenellini, la Repubblica 5/10/2013, 5 ottobre 2013
BIANCANEVE E I SETTE TORERI
PARIGI
Sullo schermo che invecchia, l’unico cinema che ringiovanisce è quello muto. Non solo perché i film antenati vengono restaurati con devozione certosina, ma anche perché i registi d’oggi riscoprono nel cinema del bisnonno una densità visiva e una freschezza narrativa obnubilate dall’attuale “fast look” d’effetti speciali e 3D. Viva l’immagine in movimento originaria, ancora in bianco e nero, espressione d’un eden intoccabile della fantasia, prima della mela avvelenata di sonoro e colore, e della falsa illusione d’un mondo banalmente identico al nostro. Le Giornate del Cinema Muto di Pordenone, che da 32 anni inseguono e ricreano il paradiso perduto, hanno in serbo quest’anno, oltre ai preziosi classici d’epoca, una cospicua riserva di muti anomali, abbondantemente postumi. Tra gli eventi, Too much Johnson, film creduto perduto, che Orson Welles poco più che ventenne girò nel 1938, dunque in piena era sonora, in funzione d’una regia teatrale a New York: ritrovato e identificato con la collaborazione di Cinemazero, restaurato da George Eastman House di Rochester e Cineteca del Friuli, si vedrà il 9 a Pordenone in anteprima mondiale.
Ma l’evento d’apertura, oggi, in anteprima nazionale, cioè con didascalie italiane, è Blancanieves dello spagnolo Pablo Berger, un film muto del 2012. Oltre un secolo dopo i Lumière. Solo un anno dopo The Artist di Michel Hazanavicius. Gran premio della giuria al Festival di San Sebastian, il film, che ha fatto razzia di premi Goya (gli Oscar spagnoli), distribuito da noi da Movies Inspired a fine mese, è una libera interpretazione della fiaba che, nella versione Disney, aveva acceso le fantasie infantili del regista, oggi cinquantenne: «Ho spostato la storia al cuore della tauromachia, negli anni 20: un modo di ancorare il film alla cultura spagnola, con i sette nani mini-toreri circensi. Sì, con un ammicco a Freaks di Tod Browning. Nella regia mi sono comportato come un jazzista: tema prestabilito e continue improvvisazioni. La fiaba dei Grimm non prende più di tre pagine: si offre a mille varianti, tra cui la corrida, che è una danza con la morte».
Muto del XXI secolo, secondo la definizione delle Giornate, «che già prima dell’Oscar e del successo mondiale di The Artist avevano scommesso sull’attualità del cinema senza parole», ricorda il presidente Livio Jacob, «dedicando fin dal 1999 una sezione ai “neo-muti” con Juhadi Aki Kaurismaki », Blancanieves, nato da un progetto del 2005, molto prima di The Artist, è ancor «più muto» del film di Hazanavicius, che si limitava all’omaggio, ironico-nostalgico, al cinema americano anni 30. Rimettendo mano a Biancaneve, che il cinema ha di recente rivisitato con Julia Roberts e Kirsten Stewart, Berger ci riporta di peso dentro il cinema europeo anni 20, riprendendone i codici visivi: immagine granulosa, montaggio secco, recitazione teatrale, d’enfatica gestualità. «Quando a 18 anni ho scoperto Greed, il film di Stroheim del ‘24», racconta Berger, atteso a Pordenone, ora sul set d’uno spot in Spagna, «mi sono reso conto di quanto il cinema delle origini fosse più coinvolgente del sonoro, esigendo dallo spettatore un’immersione totale. Una volta entrati nel gioco, le emozioni diventano più intense: dolore, paura, passione, tutto si decuplica. Per me il cinema degli anni 20 resta il più vivo, l’era d’oro: Gance, Dreyer, Murnau, Pabst, Bunuel... L’avvento del sonoro è stato un dietrofront, la perdita della purezza del cinema. Come se bellezza e potenza delle immagini non bastassero più e occorresse a ogni costo romanzarle per farle comunicare, invadendole di dialoghi, divenuti poi protagonisti. Ma il cinema è prima di tutto visione. Le parole mentono sempre, gli occhi mai».
Pensiero che echeggia quello d’un altro grande fan del muto, Alfred Hitchcock, di cui il British Film Institut ha restaurato un pacchetto di 9 titoli, realizzati tra 1925 e 1929, in tour a Berlino e Mosca dopo la Cineteca di Bologna. Hitchcock fa capolino pure a Pordenone, nell’omaggio all’attrice ceca Anny Ondra (sua l’immagine sul poster delle Giornate 2013): 50 spassosissimi secondi del provino sonoro per Blackmail, che Hitchcock ha girato quasi in due versioni, muta e sonora, dove anticipa, non nella finzione ma nella realtà del set, una trovata hollywoodiana. Fa infatti doppiare la Ondra da un’attrice nascosta dietro le quinte mentre lei articola le frasi.