Federico Rampini, la Repubblica 5/10/2013, 5 ottobre 2013
IL MAGO DEI NUMERI
NEW YORK
Ragazzi, se siete incerti sulla facoltà da scegliere, date retta: una laurea in statistica può rendervi ricchi. Non solo, può fare di voi anche delle celebrità. E inoltre dei personaggi con una funzione sociale, un’utilità per gli altri. Qui devo fare un atto di “full disclosure”, trasparenza totale. Quando parlo di Nate Silver, l’enfant prodige della statistica americana, mi lascio prendere facilmente dall’entusiasmo. C’è dietro una storia personale. Silver mi ha aiutato nei momenti di incertezza, di angoscia, di smarrimento. Nella campagna elettorale 2012, noi corrispondenti negli Stati Uniti, come anche i nostri colleghi americani, eravamo bombardati di messaggi contrastanti. Il clan repubblicano, lo staff di Mitt Romney, fino alla sera stessa delle elezioni si diceva strasicuro di avere la vittoria in tasca. Alcuni democratici erano sinceramente turbati. I sondaggi? Ce n’erano così tanti, che non ci aiutavano affatto: alcuni davano la vittoria a Barack Obama, altri no (tra questi ultimi il Rasmussen che aveva fama di attendibilità e autorevolezza). Nel buio un faro ci illuminava: Nate Silver. Col suo blog sul sito del New York Times (intitolato FiveThirtyEight), Silver vivisezionava implacabilmente tutti gli altri sondaggisti, ne metteva a nudo errori e contraddizioni, e alla fine ci dava un verdetto chiaro. Come sempre, ebbe ragione lui. La storia di questo 35enne è una successione di trionfi basati sulla sua magistrale padronanza della statistica. Ventenne, mentre sbarcava il lunario con un lavoretto da consulente nella società di revisione dei bilanci Kpmg, inventò un algoritmo per prevedere le performance dei giocatori di baseball, che gli fu comprato a caro prezzo dal sito Baseball Prospectus. Poi, sempre usando la statistica, cominciò ad accumulare stratosferiche vincite al poker. Nel 2008 si applicò alle previsioni elettorali, e la prima vittoria di Obama fu un po’ anche sua: quell’anno l’incertezza era minore che nel 2012, ma comunque Silver fece centro prevedendo con inaudita precisione i risultati collegio per collegio. Da cominciò ad essere una star. Autore del libro Il segnale e il rumore (tradotto da Manfredi Giffone, Fandango editore), lo intervisto mentre sta per volare in Italia.
All’ultima campagna elettorale ricordo dei militanti democratici che portavano all’occhiello un distintivo anti-scoraggiamento: “Abbiate fiducia, leggete Nate Silver”. Ma dopo la rielezione di Obama circolava un’altra battuta: “A che serve votare, se c’è Nate Silver?” Dietro l’ironia, spunta un interrogativo orwelliano: con i progressi dei sondaggi demoscopici e della statistica che interpretano ogni sentimento dell’opinione pubblica, non si rischia un effetto-smobilitazione? Perché fare politica, se possiamo sondare alla perfezione e in tempo reale i cittadini?
«No, attenzione, le mie proiezioni sono basate su sondaggi, e i sondaggi attendibili vengono fatti in una fase in cui gli elettori stanno per andare a votare: se non esiste quell’appuntamento democratico, forse i risultati sarebbero diversi. Capisco cosa c’è dietro la sua domanda: la partecipazione al voto in America è scesa a livelli di guardia, l’affluenza alle urne talvolta è così bassa che l’attenzione alla politica è insufficiente. Spesso a seguire le notizie politiche quotidiane sono solo il 10% o il 20% degli americani che si collocano nelle fasce più estreme, a destra e a sinistra. Se i sondaggi e la statistica potessero servire ad aumentare l’attenzione... Di certo l’uso scientifico dei numeri, l’approccio razionale, può aiutare a ricreare un’attenzione tra quei cittadini che si sono disaffezionati perché vedono un’informazione troppo partigiana, polarizzata fra le ali estreme».
Proprio perché il dibattito politico e l’informazione si sono polarizzati, un personaggio come lei qualche volta assume la funzione dell’arbitro. La gente si rivolge ai suoi calcoli, per avere una sorta di metro imparziale, dietro il fumo della propaganda.
«La politica purtroppo sembra divorziare dalla realtà, il compito del factchecking, cioè la verifica delle affermazioni dei politici, la misura della loro credibilità e attendibilità, un tempo apparteneva al giornalismo. La statistica ha il vantaggio di usare un metodo scientifico, che non è stato screditato. Ma un conto è applicare la scienza alle previsioni elettorali, altra cosa è risolvere problemi complessi: che so, la crisi dell’euro, o come riformare la scuola in America».
Questo libro, che è stato un bestseller alla sua uscita in America, ha sorpreso molti lettori per una certa umiltà. Gran parte dei suoi capitoli sono dedicati agli errori nelle previsioni.
«Certamente i campi in cui la scienza delle previsioni può esibire dei successi, sono quasi delle eccezioni. Abbiamo una capacità notevole di prevedere in alcuni giochi come gli scacchi. Ma le previsioni su fenomeni ben più importanti e drammatici come i terremoti, sono poco attendibili. Più che di umiltà, faccio professione di scetticismo. Chi affronta la scienza delle previsioni con cautela, di solito riesce meglio. Diffidate di chi si dice sicuro al 100% delle sue proiezioni: il mondo è un luogo troppo complicato».
Sarebbe bello se la stessa metodologia con cui lei ha previsto le vittorie di Obama, si potesse applicare a prevedere la prossima bolla finanziaria. Sarà mai possibile?
«In realtà furono in molti a prevedere la bolla speculativa che scoppiò nel 2008. Tuttavia i loro avvertimenti vennero ignorati, perché prevalse tra gli investitori la mentalità del gregge. In generale bisogna rimanere sospettosi e guardinghi ogni volta che i valori di alcuni beni d’investimento vanno alle stelle».
I suoi colleghi economisti sono stati vituperati in occasione dell’ultima crisi, si è detto che un’intera scienza ha subito un tracollo di credibilità. La statistica può offrire certezze laddove l’economia ha fallito?
«La macro-economia è un terreno molto complesso, con molte variabili in gioco, e dove lo statistico non può disporre di una lunga serie di precedenti. Faccio un esempio: la crisi dell’eurozona non si può simulare in laboratorio né possiamo accostarla a una lunga serie di casi analoghi, visto che l’euro esiste da poco più di un decennio. Oppure, prendiamo l’esempio di Obama-care, la riforma sanitaria di questo presidente: ci vorranno anni per valutarne il funzionamento, le conseguenze, i risultati. Tuttavia il lavoro che io faccio con i numeri può essere educativo, nel senso di spingere il cittadino elettore a misurarsi con i fatti reali. Esempio: è innegabile che gli Stati Uniti spendono per la loro sanità il doppio della media europea, e tuttavia i risultati misurati con degli indicatori precisi sulla salute dei cittadini ci dicono che gli americani non stanno affatto meglio degli europei. Questi sono fatti, sono numeri, che troppo spesso vengono ignorati nelle polemiche politiche».