Laura Laurenzi, la Repubblica 5/10/2013, 5 ottobre 2013
LA VILLA VENETA DOVE NASCONO SCARPE
SENZA TEMPO –
La tradizione risale addirittura al XIII secolo: è in questa zona, la Riviera del Brenta, che l’aristocrazia veneziana aveva i suoi calzolai. Ed è qui che l’abilità, la competenza, la passione si tramandano. Qui i grandi marchi internazionali della moda vengono a produrre scarpe create, rifinite, cesellate come gioielli. Manifacture de souliers Louis Vuitton, dice l’iscrizione sul grande parallelepipedo di calcestruzzo progettato e disegnato come fosse un’enorme scatola di scarpe. Siamo a Fiesso d’Artico, 33 chilometri da Venezia, e in questo stabilimento eco-friendly lavorano 370 persone fra impiegati e soprattutto operai. Sotto lo stesso tetto, una superficie complessiva di 14 mila metri quadrati, sono riuniti ufficio stile, produzione, galleria d’arte e centro di formazione.
C’è anche un minuscolo museo della calzatura, con pezzi unici e antichi da paesi lontani. E poi la galleria privata: i diciotto disegni ad acquerello anni Sessanta di un portfolio di Andy Warhol tutti invariabilmente sul tema calzature. Che la scarpa da donna sia un’ossessione si capisce sin dal porticato d’ingresso, dove — scultura di Jean-Jacques Ory — campeggia un’enorme décolleté bianca nella cui suola interna è dipinta una Venere del Botticelli grandezza naturale. È ancora più grande Priscilla, gigantesca e argentea scarpa col tacco a spillo lunga quattro metri e 70, opera di Joana Vasconcelos, composta con 600 fra pentole e coperchi. Infine, adagiata sul prato, una piccola donna di bronzo è in adorazione di una scarpa a stiletto rosso fuoco che pende da un grande cerchio nero: l’installazione di Nathalie Decoster si intitola convenientemente “L’Objet du désir”.
La visita alla fabbrica, inaugurata nel 2009, comincia dalla cosiddetta camera delle torture, dove appositi macchinari testano la resistenza del prodotto. Un flessometro saggia l’elasticità del pellame, un rullo di carta vetrata mette alla prova le suole, un martello robotizzato si accanisce contro un tacco e questo tacco dall’anima di acciaio è appena stato sottoposto a tre cicli di 14 mila martellate l’uno. Ecco l’ultimo test: la camera climatica, sembra il forno di un ristorante, dove la scarpa milionaria viene sottoposta a shock termici di vario tipo, con simulazione di umidità al 95 per cento, poi calore a 50 gradi, poi gelo assoluto a 20 sottozero. Una scarpa che può arrivare a costare oltre mille euro deve uscirne indenne, sotto la neve di Mosca come nella canicola di Dubai. Il magazzino custodisce 6.500 rotoli di pellami di ogni varietà, colore e consistenza. Gli artigiani specializzati li tagliano a mano con un affilatissimo bisturi. Per un paio di sandali da sera o per una scarpa elegante ci vogliono due giorni di lavoro e fino a 250 passaggi diversi, operazioni di alta precisione in buona parte fatte a mano con pazienza certosina. I modelli disegnati da Marc Jacobs sono complessi: c’è da applicare il pizzo, le piume, le perle, i nastri, i ricami. Quattro gli atelier: Alma, specializzato in scarpe da red carpet; Taiga, calzature da uomo classiche; Nomade, mocassini cuciti artigianalmente; e Speedy, che produce sneakers uomo-donna.