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 2013  ottobre 05 Sabato calendario

QUOTE BANKITALIA E IOR FINANZA ALLA ROMANA


NON c’è niente di più anonimo e universale della finanza: che sia cinese o tedesco, un tasso di interesse o un margine operativo hanno lo stesso significato. Ma Roma è speciale anche in questo: qui la finanza assume una coloritura diversa. Ce lo ricordano due recenti vicende.
Lo Ior è nudo. Dopo 125 anni, finalmente lo Ior ha pubblicato il bilancio. Per i cattolici è una buona novella. Ma sfogliandolo mi sono detto: tutto qui? Perché lo Ior assomiglia più a un ufficio postale che a una banca: non fa prestiti, ma si limita a gestire i pagamenti e raccogliere i risparmi, investendoli in attività liquide a rischio contenuto, di 19mila clienti, prevalentemente istituzioni cattoliche. L’unica fonte di raccolta sono depositi a breve (4 miliardi), che a sua volta deposita presso altre banche per il 30%, e per il 55% investe in titoli di Stato. Un’intermediazione
senza rischi che però rende: l’anno scorso lo Ior ha incassato interessi pari al 2,1%, pagando ai depositanti l’1%; e una commissione media dello 0,5% sui 3,2 miliardi di risparmio gestito, retrocedendone lo 0,1% a terzi. Con i titoli, inoltre, fa un bel po’ di trading, che ha generato il 45% del risultato operativo (percentuale più da investment bank che da ufficio postale).
Il costo del personale è contenuto, non avendo sportelli; non ha bisogno di grandi investimenti informatici; e non paga tasse. Così il Vaticano ha incassato un utile netto pari al 10,5% del capitale: oggi una redditività da lustrarsi gli occhi per molte banche commerciali. Ma allora, perché tanta ostinata segretezza in passato, costata un danno di immagine planetario? Solo per difendere l’anonimato di qualche conto? Viene anche da domandarsi se lo Ior convenga al mondo cattolico, e non solo al Vaticano. Se il Vaticano trasferisse infatti la gestione dei depositi, pagamenti e investimenti a banche esterne, potrebbe negoziare condizioni economiche e di servizio migliori per le istituzioni cattoliche. Il Vaticano rinuncerebbe all’utile dello Ior che, di fatto, sarebbe distribuito tra i suoi ex clienti. Al Vaticano rimarrebbe comunque il patrimonio dello Ior (800 milioni),
che potrebbe essere gestito al meglio da una Fondazione apposita; e risparmierebbe buona parte dei 26 milioni di costi operativi.
Quanto vale il Colosseo? Si torna a discutere della valutazione di Banca d’Italia. Se ne parla da anni: ma ora è stata nominata un’autorevole commissione per dirimere la questione. Qualsiasi criterio di valutazione verrà utilizzato, si baserà necessariamente sull’attualizzazione di cash flow e/o sul valore delle attività, meno i debiti. Presupposto però di ogni criterio è che la valutazione stimi il prezzo che un ipotetico compratore sarebbe disposto a pagare. Che per Banca d’Italia è zero, come per il Colosseo: un valore incommensurabile, ma senza un prezzo di mercato, perché non si può vendere, e nessuno lo comprerebbe.
Tanto interesse deriva dall’anomalia italiana delle banche che sono proprietarie della
banca centrale che le regola. Molte di queste sperano che il valore stabilito dalla Commissione comporti una rivalutazione della loro partecipazione. Eppure sarebbe solo un inutile esercizio contabile: la rivalutazione non migliorerebbe il patrimonio Core Tier 1 delle banche, proprio perché la partecipazione non serve a fronteggiare eventuali perdite, non essendo cedibile. Per la stessa ragione, anche il mercato non attribuirebbe un valore a questo nuovo “patrimonio”. E non si risolverebbe l’anomalia. E allora?
Lecito ipotizzare che lo scopo sia un altro. Il valore che la Commissione stabilirà darebbe una parvenza di scientificità a un unico prezzo “politico” al quale le banche potrebbero in futuro monetizzare le azioni Banca d’Italia cedendole a qualche entità pubblica o para pubblica; o chiedere alle Fondazioni di effettuare uno swap con le loro partecipazioni bancarie. Comunque un espediente per fornire capitali liquidi alle banche, senza che debbano passare dal mercato. Maggiore trasparenza sulle vere intenzioni di Governo e Banca d’Italia sarebbe auspicabile. Signoraggio e riserve auree sono state accumulate col risparmio degli italiani. Alla fin fine, quindi, sono sempre soldi dei cittadini.