Valerio Cappelli, Corriere della Sera 5/10/2013, 5 ottobre 2013
NETREBKO E L’OPERA NEI CINEMA: NOI CANTANTI SEMPRE PIÙ ATTRICI
ROMA — A New York l’hanno adottata, è la più grande star della lirica dai tempi di Luciano Pavarotti. Quattro milioni di dischi venduti, per Time è tra le 100 persone più influenti del pianeta. Anna Netrebko apre per il terzo anno consecutivo (mai successo per un soprano) la stagione del Metropolitan con Eugene Onegin di Ciaikovskij diretto da Valery Gergiev. Oggi 2000 cinema in tutto il mondo (ma in Italia andrà martedì alle 19.30 nel circuito Microcinema in 79 sale) trasmetteranno in diretta lo spettacolo: «E’ un onore, ed è una gran cosa soprattutto perché si può seguire l’opera come un film, vedere le emozioni più intime sul mio viso, dettagli che solo la telecamera può restituire».
Anna canta molte opere italiane, lavora sia con la Scala (dovrebbe tornarvi nel 2015) che con Pappano e l’Orchestra di Santa Cecilia, dice che il suo guardaroba è pieno di centinaia di scarpe italiane, osserva che noi e i russi siamo simili, ma ancora non se la sente di esprimersi nella nostra lingua. «Continuo a studiarla. Sono immersa nella Manon Lescaut che affronterò a febbraio per la prima volta, all’Opera di Roma, con Riccardo Muti e sua figlia Chiara regista. Puccini è facile e allo stesso tempo pericoloso per me. Penso alle sue brevi linee melodiche. Io sto andando nella direzione contraria, sto sviluppando l’estensione della mia voce. Il rischio, con Puccini, è di pregiudicare il lavoro su Verdi che è prioritario». Manon Lescaut non è un grande ruolo per un soprano, ma «è pieno di colori. Lo studio ascoltando il disco di Callas e Di Stefano». Al telefono da New York, Anna è di ottimo umore, racconta di aver cambiato voce e di conseguenza repertorio: «E’ successo tutto negli ultimi due anni. Non è che mi sono svegliata un giorno e, oplà… Il timbro è diventato più scuro. Dipende dall’età, dall’esperienza. E’ un caso raro. Non so che tipo di soprano sono diventata. Canterò Macbeth e, tra tre anni, il Lohengrin di Wagner. Mi sento a mio agio».
Lady Macbeth occupa già la prima parte del suo cd, con Giuseppe Noseda e l’Orchestra del Regio di Torino, appena uscito per Deutsche Grammophon e ammette che «Verdi è il mio abito su misura. Questo disco rispecchia la mia maturità, l’ampiezza della mia “nuova” voce. Non sto dicendo che ho chiuso con La Traviata , ma l’ho cantata tante volte, la vita è così breve, voglio fare sempre nuove esperienze».
Fino a pochi anni fa, di lei si sottolineava prima la bellezza (ritenuta dai teatri altrettanto importante delle qualità artistiche) e poi la voce. Ora, dopo la scoperta di questo timbro brunito, succede il contrario. «Non sarò più la ragazza che sono stata, non voglio perdere qualche chilo. Ho 42 anni e non vedo rughe sul mio viso. Sono una donna del mio tempo, se si esclude che non ho il computer». A casa ascolta ancora i Green Day alternati a Verdi? «Non posso ascoltare più nulla. Tiago (il figlio avuto dal baritono Erwin Schrott, ndr ) è in età da cartone animato, davanti alla tv il padrone è lui».
Nella Bohème a Salisburgo, il regista Damiano Michieletto, che non era un veterano ma debuttava al festival, le ha «imposto» un tatuaggio, il piercing, la testa rasata come una punk…«Da una parte mi considero una persona easy, uno strumento flessibile nelle mani di un regista, dall’altra voglio conoscere prima le sue idee. Sono stata fortunata a non avere incontrato certi registi di scuola tedesca che stravolgono tutto, non so come reagirei, probabilmente me ne andrei. Agli allestimenti tradizionali preferisco quelli moderni e un po’ pazzi e assurdi». Nessun regista le ha mai chiesto di spogliarsi in scena, perché «sexy va bene ma… C’è un solo personaggio a cui viene richiesto di denudarsi, Salome. Il giorno in cui interpreterò l’eroina di Richard Strauss, sarà l’ultimo della mia carriera».