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 2013  ottobre 05 Sabato calendario

IL VILLAGGIO FACEBOOK E IL RITORNO DELLA CITTÀ IDEALE


I frequentatori di Facebook lo sanno, e se ne vantano: sono parte di una comunità globale che scambia informazioni, condivide idee e saperi e giudizi su cose, fatti e persone: mi piace o non mi piace, quelli, fin quanto ne vuoi. Poi qualcuno si lamenta: tutto troppo condiviso, si preferisce una pur repentina apparizione nel social, un I like e si rinuncia così alla presenza in carne e ossa. Troppo virtuale, un mondo sì utopico e globale ma in fondo «sti frequentatori sono fantasmi, chi li conosce? Va beh», sarà, ma ogni innovazione ha i suoi benefici e i suoi costi, però a volte ci si dimentica che ogni comunità virtuale ha fondamenta materiali.
Lo segnala anche il Wall Street Journal , proprio a proposito di Facebook. L’azienda sta lavorando per edificare una città alloggio, concreta però, a pochi passi dai suoi uffici. E sta comprando superfici immobiliari, in una zona, quella della Silicon Valley dove i prezzi sono così alti che, diciamo così, in pochi possono condividere. Insomma, una città con tutti i crismi, nella quale i suoi abitanti non dovranno preoccuparsi di quelle minuzie che a volte causano depressioni momentanee e sbalzi di umore. Raggiungi il posto di lavoro, sì, ma con la macchina è un bordello, l’autobus non passa, ci sono le buche dappertutto, pure sui marciapiedi, quando piove è un disastro, e poi corri a casa perché devi cucinare, lavare i panni, aggiustare la macchina, la bici, la moto, ma il meccanico chiude alle 18, proprio quando esco dall’ufficio, come si fa? Le cose concrete, insomma. E no, almeno sul progetto la città che Facebook intende realizzare sarà diversa, più simile a un campus, orientata a semplificare la vita ai suoi dipendenti. Come dire, non pensare alle facezie e libera la testa per aiutarci a innovare. Dunque ci saranno autobus, lavanderie e negozi su misura. È previsto anche un bel percorso in bici, dalle proprie abitazioni in ufficio: cinque minuti, lungo la baia di San Francisco, «nemmeno devi preoccuparti di frenare», scherza un architetto coinvolto nel progetto.
La memoria va subito alle prime città operaie, in genere villette bifamiliari con giardino, corti in comune, quei posti anomali — almeno rispetto alle città diffuse che abitiamo: case a filo di marciapiede, parallelepipedi in sequenza — quei posti che quando li vediamo pensiamo: come mi piacerebbe abitare qua! Peccato che costano un sacco di soldi, ora. E dire che quando furono realizzate erano destinate a operai e ferrovieri, gente umile che però serviva, eccome se serviva. Allora i datori di lavoro si preoccupavano del loro stato di salute, fisica e mentale. Sì tutti vicini, ma non intasati e stretti che troppa vicinanza predispone a infezioni e quindi defezioni dal lavoro. Orti e giardinetti sotto casa, così si coltivano hobby carini e non vengono cattivi pensieri in testa. Quelle comunità operaie che testimoniavano fedeltà all’azienda, alla fabbrica – e orgoglio anche.
In questo caso c’è un problema. Appunto, è cambiato il rapporto di dipendenza tra impresa e lavoratore. Non è così stretto né dura per sempre. Anzi, Facebook — come altre imprese — vive sull’innovazione e dunque deve attirare persone in grado di innovare, altrimenti, senza novità non si vende il prodotto, e tuttavia i suoi dipendenti potrebbero cambiare azienda — innoverebbero altrove, le idee si muovono in fretta — e allora perché l’azienda dovrebbe investire sui dipendenti se c’è la possibilità che gli stessi dipendenti non saranno più con loro?
L’esperimento è in corso e sarà interessante capire quale potrà essere la forma della città del futuro, che almeno nei suoi aspetti ideali, potrebbe assumere una dimensione intermedia tra le vecchie comunità operaie che producevano acciaio e quelle moderne in continuo movimento. E comunque, alla fine è sempre bene sapere e soprattutto pensare che dietro un social, dietro un I like veloce e senza impegno ci sarà sempre un operaio che concretamente costruirà una casa.