Gianandrea Gaiani, Libero 5/10/2013, 5 ottobre 2013
I 17 MILIONI BUTTATI IN LIBIA PER «NON VIGILARE»
Tra gli stanziamenti approvati ieri dal Consiglio dei Ministri per finanziare le missioni militari e gli interventi cooperazione all’estero per l’ultimo trimestre dell’anno i 17,7 milioni destinati alla Libia rappresentano un insulto soprattutto alla luce di quanto accaduto a Lampedusa.
Con i 304,8 milioni di euro assegnati ieri il conto delle operazioni oltremare sale a 1,24 miliardi di euro, in modesto calo rispetto agli anni precedenti: 1,4 miliardi nel 2012 e 1,55 l’anno precedente. Non c’è dubbio che la gran parte di questi fondi vengono assorbiti dalle operazioni in Afghanistan (522 milioni), Libano (159 milioni), Kosovo (75,3 milioni) e dalla missione navale contro la pirateria somala (53,3 milioni).
Se non fosse per le tante vittime di quest’ultima tragedia ci sarebbe da sorridere considerando che i 17,7 milioni di euro spesi in Libia includono anche il finanziamento alla missione dell’Unione europea di assistenza alle frontiere varata in maggio. Missione che non sembra aver impressionato gli scafisti delle organizzazioni malavitose che trafficano esseri umani appoggiandosi su diverse milizie che controllano le coste, soprattutto quelle di
Zuara e Misurata. Gli «eroi» della guerra del 2011, che pure noi italiani aiutammo (a suon dibombe) a eliminare Muammar Gheddafi, sembrano aver capito subito che l’Europa non esiste e Roma non fa nulla di concreto per contrastare i loro sporchi traffici. Anzi, l’accoglienza che l’Italia buonista concede ai clandestini in arrivo non fa che ingigantire i «clienti» e gli introiti delle mafie nordafricane.
Dei soldi spesi (o buttati) in Libia ben 10,2 milioni (contro i 7,5 dell’anno scorso) li spendiamo quest’anno per la missione di addestramento e assistenza alle forze militari e di sicurezza con alcune decine di istruttori disarmati dislocati a Tripoli nell’ambito dell’Operazione Cirene ribattezzata pochi giorni or sono Missione Italiana
in Libia. Il 3 ottobre il segretario generale della Farnesina, Michele Valensise, ha discusso a Tripoli con i vertici libici di stabilizzazione della Libia e due giorni
prima era stato il capo di stato maggiore della Difesa, ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, a recarsi nella capitale per incontrare il suo omologo, il generale Alsalhin
al- Obaidi nominato in agosto capo delle forze armate. Che però non esistono, o meglio, si stanno costituendo arruolando «reclute» che provengono per lo più da milizie tribali o quelle più forti, che controllano Tripoli e Bengasi, di ispirazione salafita e islamista.
Tagliagole e jihadsti che italiani, britannici e americani si sono impegnati a istruire in base a un programma che prevede l’arrivo in Italia di gruppi di 6 mila libici divisi in gruppi di 400 per ricevere addestramento militare. Come ha riferito un comunicato della Difesa italiana, al-Obeidi ha ribadito «il comune interesse per un Mediterraneo sicuro e stabile», affermazione che pare una presa per i
fondelli se si considera che le motovedette libiche non hanno mai bloccato un barcone di immigrati clandestini né arrestato uno scafista ma hanno abbordato in acque
internazionali diversi pescherecci di Mazara del Vallo, rilasciati solo dopo riscatti spacciati per multe.
I soldi peggio spesi tra quelli che Roma investe in Libia sono i 7,5 milioni che nel 2013 finanziano la presenza in Libia di personale della Finanza che garantisce la manutenzione delle 6 motovedette regalate nel 2009 alla
Guardia costiera libica per fermare i clandestini.
E che i libici usano per abbordare come pirati i nostri pescherecci come del resto fanno i tunisini con le tre motovedette da 34 metri donate nel 2012 e costate al contribuente italiano 25 milioni di euro. I tunisini ne hanno usata una il 20 settembre per bloccare in acque internazionali il peschereccio Cartagine dirottandolo nel
porto di Sfax. Per rilasciarlo con i nove uomini d’equipaggio vogliono 21 mila euro.