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 2013  ottobre 04 Venerdì calendario

LEONARDO CI SVELA IL MISTERO. MA NOI NON LO VEDIAMO


Ai grandi maestri del Rinascimento oggi viene affidato l’impegnativo compito di “essere contemporanei”, con tutto ciò che comporta, alla luce di un’arte che può essere tutto e il contrario di tutto. Ma questo salto di demarcazione (carpiato) è plausibile per Antonello da Messina o Piero della Francesca? Ne parliamo con Antonio Natali, direttore degli Uffizi, dove prossimo è il ritorno dell’Adorazione dei Magi di Leonardo, affidata più di un anno fa alle cure dei restauratori dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze. Il “miracolo” della ripulitura ha restituito una strepitosa luce “interna” a questa tavola. «Personalmente dico di sì, ma per la ragione opposta. Per far “digerire” il contemporaneo. Mentre non è necessario ricorrere a esso per far amare l’antico. Sul prospetto dell’edificio degli Uffizi che sovrasta l’Arno ho fatto collocare un’opera al neon dell’artista Nannucci, con la frase, scritta in inglese (che dirò in italiano): “tutta l’arte è sempre stata contemporanea”». Lei è anglofobo, francofobo...«Ma anche parole come ottimizzare, sinergia, fare sistema, fare squadra, sono per me insopportabili. Preferisco dire: migliorare, collaborare, invogliare. Non è una questione nominalistica, avere spirito libero nel linguaggio significa averlo anche nella vita». Si moltiplicano ovunque, in Italia e in Europa, iniziative come “Una notte al museo”, “La giornata europea del patrimonio”, “Musei aperti”, “La settimana della cultura”. E domani sarà “La IX giornata del contemporaneo”. Ma questi eventi attivano veramente qualcosa nel tessuto sociale? «Tutte le volte che un museo rimane aperto, è un vantaggio: si afferma che la cultura esiste ed è vitale. Nel ’700, un grande direttore degli Uffizi, Giuseppe Pelli Bencivenni, diceva: “Bisogna che i giovani vengano in Galleria per imparare a conoscere il bello, per poi riconoscerlo in ogni frangente della vita”. Se questo è il ragionamento allora è un bene, ma se invece si pensa agli incassi (la “notte al museo” è però gratuita) c’è perdita. Con tutto quello che si spende per tenere aperto il museo di notte, forse si potrebbero fare altre cose. Difficile conciliare l’esigenza della formazione dell’individuo con quelle economiche. Si arriva a contraddizioni. Sappiamo poi che ogni nuovo museo è un debito, specie se in una città medievale, seppur bellissima, arrivano pochi visitatori. Molti assessori alla cultura non dormono dopo aver inaugurato un museo civico. Bisognerebbe pensare che il museo non deve rendere in sé, ma per l’indotto che riversa sulla città, o anche nei piccoli centri. La “città degli Uffizi” è una serie di mostre che mi sono inventato, prendendo opere dai depositi collegate al territorio. Perché dev’esserci questo scambio, tantopiù che un museo come il nostro ha accumulato ricchezze dalla Toscana. Non sono né passatista né disincarnato, la valorizzazione fatta con intelligenza ha risvolti anche finanziari. Agli Uffizi entrano 1,8 milioni di persone ogni anno». A patto che i turisti non bivacchino con il fornelletto a gas sul sagrato del Duomo.

Strabismo. Quale considerazione abbiamo del nostro patrimonio, se investiamo solo l’1% del Pil in cultura? «C’è molta ipocrisia. La stragrande maggioranza delle persone parla di ricchezza derivante dal patrimonio ignorando sia l’una che l’altro. Spesso non sanno cosa voglia dire valorizzare. Per me è prima di tutto restituire valore a qualcosa che l’ha perso o a qualcosa che non l’ha mai avuto. Investire così poco non è da imprenditore, significa non credere veramente nella cultura, e allora si parla di petrolio, di giacimenti. La Sant’Anna Metterza di Masaccio e Masolino non è un idrocarburo... Per me un dipinto degli Uffizi equivale a un testo poetico che si esprime in figura, così come una poesia di Montale è un testo poetico che si esprime in parola. Finché non si recupera questo stile la gente verrà nel nostro museo per farsi fotografare, neppure davanti alla Venere del Botticelli, ma al cartellino, per “certificare” che non è davanti a una copia. Si guarda alle opere come a reliquie da venerare o a feticci». E così, orde di visitatori non le osservano più, ma filmano e fotografano serialmente. Tutto il mondo è diseducato? «Gli inglesi hanno un approccio diverso. La divulgazione è lo strumento più democratico che esista in fatto di educazione. E non è l’aneddoto che ti rende sapida la vita di Michelangelo». È fondamentale recuperare la scuola. Ripartendo subito, tra 40 anni, si uscirebbe da questo vicolo cieco. L’insegnamento della storia dell’arte è inesistente, addirittura tolto, mi si dice, dai programmi degli istituti tecnici per il turismo! Per esempio, vorrei vedere il ministero dei Beni culturali associato a quello della Pubblica istruzione. Sarebbe una chiara indicazione che il patrimonio fa parte della cultura italiana, alla stregua della scuola. Frequentando i musei o le chiese ci si forma, non si fa spettacolo o turismo». C’è sempre il Louvre con i suoi 10 milioni di visitatori nel 2012.... «Un Louvre che è comunque in difetto rispetto a noi. E che, essendo 12 volte il nostro edificio, dovrebbe fare, in proporzione, ben di più... sennò è come paragonare casa mia con Buckingham Palace. Qui agli Uffizi scoppiamo, e poi ci dicono che siamo al 21esimo posto nelle classifiche. Bisogna farle, ma considerando la superficie del museo. Allora siamo il primo al mondo». Alla National Gallery o al British Museum si entra gratis, perché no agli Uffizi? «Se lo facessi verrei deposto il giorno dopo. O sbranato. In un momento così critico come questo è grazie alla ripartizione dei proventi derivanti dagli Uffizi e dall’Accademia (dove c’è il David – anzi il Devid come dicono oggi anche gli italiani esterofili – perché se togliessero quella scultura non ci andrebbero più le folle) che altri straordinari musei fiorentini possono vivere. Non si tratta di accogliere ancor più visitatori agli Uffizi, ma di far entrare più persone magari alla Galleria Palatina o al Museo nazionale del Bargello (il più importante museo di scultura rinascimentale esistente) e che hanno un patrimonio che il mondo ci invidia». Il Rijksmuseum ha deciso di rimanere aperto 365 giorni all’anno, gli Uffizi no? «No, per via delle nostre dimensioni, delle richieste fotografiche e cinematografiche che ci sommergono e delle pulizie che si debbono fare... ma non di notte, non mi sembra ne valga il rischio, per tenere aperto un giorno in più». Agli Uffizi è in corso la mostra sul Gran Principe Ferdinando de’ Medici, un mecenate molto colto, dai gusti eclettici. Viene in mente il duello tra Della Valle e Armani, a proposito di restauri. Lei che tipo di mecenate auspica? «Che pensi e agisca in modo elegante. I grandi mecenati nascono come frutto di educazione. Spesso dialogo con privati che hanno l’umiltà e la generosità di chiedere che cosa può essere utile al museo». L’eredità del Rinascimento, come “peso specifico” è stato il freno al progetto di Isozaki. «Quando mi dissero che il progetto era troppo alto rispetto al contesto, ho subito pensato: “Ma se i nostri vecchi avessero ragionato così per la cupola del Brunelleschi, che gareggia con i colli di Toscana come dicono le fonti antiche, avrebbero fatto una calottina bassa che non turbasse la visuale. Oppure quando Michelozzo e Donatello fecero il Pergamo di Prato e l’ammorzarono (attorno al 1430) a una chiesa romanica, non avrebbero dovuto osare”. I nostri grandi padri avevano coraggio, anticonformismo, spregiudicatezza, non si rifugiavano nelle convenzioni. Noi abbiamo paura soprattutto di noi stessi. Certo qui stiamo parlando di Brunelleschi, di Masaccio, ma noi oggi sapremmo riconoscerli se esistessero?». L’Adorazione dei Magi sta per tornare. «La ripulitura avrebbe dovuto essere fatta già dieci anni fa, se non ci fosse stata una sollevazione che allora fece desistere Paolucci. Oggi il clima è cambiato. Abbiamo già restaurato il Battesimo di Cristo del Verrocchio e di Leonardo, e poi anche la sua Annunciazione. Questa Adorazione era il terzo capitolo, che ha messo in subbuglio soprattutto coloro che, nel nome di Leonardo, e opponendosi al restauro, sfruttavano il mediatico. Sta riemergendo un grande disegno monumentale di maestria sublime. Quel velo di sudicio, ora sta sparendo. Magari qualcuno lo rimpiangerà! Anni fa ci fu una polemica fra me e il collega James Beck che ci accusava, con i nostri restauri, di fare un lifting a un uomo di 80 anni. Gli risposi che invece noi facevamo la doccia a un uomo che non si lavava da 80 anni. Noi non restituiamo alle opere una verginità antica, primigenia. L’Opificio delle Pietre Dure è un’eccellenza mondiale, con un’altissima scuola di restauro che ha fatto del rispetto dell’opera d’arte la propria missione». Prima o poi, anche per la Gioconda si profilerà il “ritocco”. «Che non è affatto il più bel ritratto di Leonardo, ma un feticcio». Quanto ai misteri delle opere d’arte, come leggere questa Adorazione? «C’è un edificio in rovina, vediamo arbusti cresciuti sulle macerie. Però ci sono operai al lavoro. Quindi è in corso una ricostruzione, e lei capisce ciò che significa sul piano teologico. Poi c’è uno scontro di cavalli e cavalieri, un uomo a terra, il cavallo che si gira di scatto perché indovina lo scontro fatale per lui e il cavaliere. Per cercare di capire questa tavola ho letto più volte il libro di Isaia (alcuni brani sono letti per l’Epifania) perché si parla di un episodio che lui pre-vede. Quel libro si compone di un’alternanza di scene di distruzione e di morte ad altre di pace, che corrispondono alla ricostruzione del Tempio, che ha una struttura architettonica che evoca il presbiterio rialzato della chiesa di San Miniato al Monte, venerata dai fiorentini. Poi vediamo uno di questi angeli che tiene una mano sulla radice e con quell’altra indica la chioma dell’alberello a un personaggio che, dopo aver fatto migliaia di chilometri per arrivare, invece di guardare il Bimbo, guarda quella chioma. Secondo Isaia, il virgulto che nasce dalle radici antiche, di David, è Colui che sarà vessillo per tutti i popoli. Secondo Agostino, che interpreta Isaia, la venuta di Cristo è festa dei Giudei nel Natale, mentre nell’Epifania quella di tutti i popoli pagani, che convergono dai quattro angoli della Terra. Isaia dice che il vessillo s’ergerà e diverrà attrazione per tutte le genti. Anche Zaccaria profetizza che l’alberello nascerà da sé e ricostruirà il Tempio del Signore. Conoscere questi “misteri” non fa scalpore, se ne preferiscono altri, alla Dan Brown». Riesce ancora a dedicarsi agli studi? «Quando non sono di turno, il sabato o la domenica. Vorrei tornare a studiare Michelozzo, alla luce dei rapporti con i suoi tre maggiori collaboratori, Donatello, Ghiberti e Luca della Robbia. Dopo aver indagato Andrea del Sarto, Pontormo, Rosso Fiorentino e Bronzino, ci sono questi pittori eccentrici come Francesco Granacci che mi appassionano».
Francesca Pini