Enrico Mannucci, Sette 4/10/2013, 4 ottobre 2013
IL SALAME? GIÀ AGLI ALBORI ERA DA MEDAGLIA D’ORO
Sotto un certo aspetto, è un bello sgarbo ai paladini del prodotto autoctono. Uno dei massimi marchi della salumeria italiana si affermò e conquistò i primi riconoscimenti presentando un “salame ungherese”. Correva l’anno 1911, la vocazione danubiana aveva motivate ragioni e in seguito, nel secolo appena trascorso, Levoni – slogan con rima, facile e di sicuro effetto: “Orgogliosamente buoni” – ha avuto modo di applicarsi con grande profitto a tutte le varietà degli affettati nazionali (senza dimenticare, peraltro, quell’ungherese che ancor oggi viene accuratamente prodotto sfruttando il fumo della legna raccolta nelle malghe alpine).
Questa storia degli albori, però, colpisce e va raccontata bene. Ezechiello Levoni nasce nel 1880 a Castelnuovo Rangone: è un paese in provincia di Modena e, da quelle parti, l’attività principale è la lavorazione dei suini. Lui, passati i vent’anni, muove su Milano e mette a frutto quest’abilità nella bottega di un signore praghese che diventerà un gran nome fra i commercianti alimentari cittadini: Francesco Peck. Il giovanotto è ambizioso, si mette in proprio nel commercio del lardo assieme a un socio, affittando a Precotto un piccolo stabilimento che il Peck medesimo non usa più. Ma non si contenta. La leggenda familiare vuole che gli amici lo sfottano un po’: «Ce la farai quando ai maiali spunteranno le ali». Non ci sarà bisogno di miracoli: nel 1913 parte per Londra, all’esposizione internazionale Modern Arts and Industry, porta la sua personale versione del “salame ungherese” e vince una medaglia d’oro.
Il ritorno dal fronte. La Grande Guerra blocca l’espansione. Ezechiello va al fronte e la moglie, Maria Magnaghi, deve vender tutto per mantenere i cinque figli. Ma, quando torna, il Levoni riparte. Trova un altro socio e compra – siamo nel 1922 – uno stabilimento a Cerese. Che è la patria di Virgilio, ma poco fortunata quanto a collegamenti. Così, sei anni dopo, nuovo trasloco. Stavolta a Castellucchio, sempre provincia di Mantova però con stazione ferroviaria. La casa madre Levoni sarà lì.
Da “rottamatore” ante-litteram, Ezechiello inaugura anche una tradizione aziendale, quella di cedere presto il bastone del comando agli eredi. Lo fa nel 1934, appena passati i cinquant’anni, lasciando l’azienda ai figli Aldo, Lino e Leandro.
La cartolina di Italo Balbo. Un anno prima, la ditta ha anche avuto parte – piccola, ma indubbiamente gustosa – in uno dei grandi exploit dell’aeronautica italiana, in quel periodo all’avanguardia nel mondo, che celebra il suo decennale. È la trasvolata Nord Atlantica di Italo Balbo, da Orbetello agli Stati Uniti, con venticinque idrovolanti Savoia-Marchetti. Alla guida di uno di questi c’è il capitano Umberto Nannini, è un cugino dei Levoni e, a bordo, trasvola anche un po’ di salumi di famiglia. Serviranno a un banchetto oltreoceano, consacrato da una cartolina – è anche un pezzo filatelico di notevole interesse – firmata dai piloti, a partire da Balbo medesimo, e corredata da una poesiola in dialetto modenese.
Arriva il secondo conflitto mondiale, col contorno dei travagli che proseguono nel dopoguerra. A Castellucchio nasce una cooperativa dei dipendenti. Tempo un paio d’anni e i Levoni tornano alla gestione. E si rimettono sotto: inventando nuovi prodotti (la Paisanella, per esempio, che “rilegge” l’abitudine mantovana di arrotolare la pancetta sul salame inserendola direttamente nella pasta dell’insaccato; i locali storcono un po’ il naso, ma al Sud ha un successo strepitoso), aprendo nuovi stabilimenti (nel 1962, a Volta Mantovana per la stagionatura dei prosciutti crudi) e sperimentando accorgimenti inediti, come le anticipazioni del “sottovuoto” con cui si cerca di prolungare la conservazione dei prosciutti cotti.
Il nuovo cambio della guardia arriva con gli anni Settanta, con altri tre Levoni al comando: Paolo, Ezechiello detto Zechi e Mario. Tocca a loro completare la dimensione industriale dell’azienda, dedicandosi anche alla pubblicità. Prima, col manifesto sulla “fame da lupi”, poi, nel 1995, col primo spot televisivo che ha Lino Banfi per protagonista (una prova dell’attenzione per il meridione della ditta mantovana), infine, siamo nel 1998, con un jingle rimasto nella memoria: «Non han mai fatto male tre fette di salame…».
Da loro viene, anche, il garbato e autoironico ricordo delle imprese non andate a buon fine, i fiaschi, insomma: cacciatorini di puro bovino destinati a chi non può mangiare maiale per motivi religiosi, oppure la “mirtadella”, cioè mortadella aromatizzata con bacche di mirto come in origine veniva fatto. Episodi avversi, in una storia di successo che ha portato oggi la Levoni a contare su oltre 370 dipendenti, 8.000 salumerie “in portafoglio”, esportazioni in 58 Paesi.
Per metter su bottega. Ma c’è un ultimo aspetto che non bisogna trascurare. La Levoni si è dedicata anche alla pratica e alla teoria – entrambi niente affatto banali – della conduzione di un piccolo esercizio alimentare: una bottega, insomma, di salumaio al Nord, pizzicagnolo in Toscana, pizzicarolo a Roma, purcitar in Friuli, norcino in varie parti del centro Italia, di salsamentiere più a nord.
D’altronde, l’azienda si fa un vanto di coprire con la gamma dei suoi prodotti – ormai sono trecento – praticamente tutta l’Italia: dal salame toscano alla ventricina abruzzese, dalla schiacciata romana alla salsiccia secca di Canosa, dal lombetto umbro al San Daniele friulano, dal culatello emiliano alla soppressa veneta. «Manca soltanto la Sardegna», osserva Nicola, quarta generazione, oggi presidente.
Ma c’è anche un altro vanto: la pratica del tirocinio per preparare perfetti gestori di un banco alimentare. Si era interrotta per un po’, ma è stata ripresa proprio di questi tempi. Sono corsi di formazione che toccano cinque temi principali: come riconoscere la qualità dei salumi, come allestire un negozio alimentare, come comunicare col cliente, marketing e promozione e, infine, come gestire economicamente il punto vendita. Nozioni e suggerimenti, ovviamente, destinati agli addetti ai lavori. Non privi d’interesse generale, però, in diversi casi. Per esempio, sapreste spiegare l’importanza della superficie di taglio per valutare la qualità di un prosciutto cotto? Dal colore della fetta si capisce se si tratta di una coscia intera oppure di un prosciutto ricomposto con frammenti assemblati: nel secondo caso la tonalità è uniforme, nel primo – quello che, ovviamente, dovreste preferire – le sfumature sul rosa sono diverse a seconda dei fasci muscolari. Oppure, il pregio dei lardelli nella mortadella quando sono quasi trasparenti (derivano dal grasso della gola). E poi c’è una parte fondamentale per i neofiti del settore: la spiegazione di come presentare le merci e come aggregare le categorie dei prodotti. Diventa quasi un gioco, con domande, risposte e varie opzioni possibili: preferite l’aggregazione per affinità merceologica (per esempio, i prodotti biologici o quelli stagionati tutti assieme) o per destinazione d’uso (riunendo quel che serve alla prima colazione)? Chi vuol mettere in pratica questo Trivial pursuit del salumiere ha anche un manuale a disposizione, Gestire un negozio alimentare, curato da Cristina Bertazzoni e pubblicato da Franco Angeli in collaborazione con Levoni.
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