Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  ottobre 04 Venerdì calendario

ALFETTA


II trapasso dal governo Lettusconi al governo Alfetta viene salutato dalla stampa italiana (quella estera ha cose più importanti di cui occuparsi) con unanime giubilo, pari soltanto a quello di Letta jr. che parla di giornata “storica” e biforca le dita a “V” come vittoria, manco fosse Churchill. Purtroppo per lui, Churchill aveva appena vinto la Seconda guerra mondiale, mentre il Nipote ha appena vinto una compagnia della buona morte composta da Angelino Jolie, Giovanardi, Formigoni, Cicchitto e Lupi, più un’altra serie di facce da museo Lombroso (si parla persino di Schifani). I turiferari a mezzo stampa dipingono Lettino come l’uomo che dopo vent’anni ha sconfitto Berlusconi, ma c’è un equivoco: B. s’è sconfitto da solo col più classico e comico degli harakiri; se aspettava Letta e il Pd, poteva campare altri 200 anni. Sull’Unità di Claudio Sardo, che è sempre l’ultimo a sapere, titola che B. “perde la faccia” (come se ne avesse mai avuta una) e santifica gli Alfanidi: non male, per un presunto giornale che due mesi fa chiedeva le dimissioni di Alfano per il sequestro e la deportazione di una donna e di una bimba kazake, decisi al Viminale sotto l’occhio da triglia del cosiddetto ministro dell’Interno, ora promosso ad alfiere di un “nuovo centrodestra” che vuole “condividere l’obiettivo della presidenza italiana dell’Ue, riformare il sistema politico e soprattutto contrastare la linea della rottura istituzionale adottata da Berlusconi dopo la condanna”. La qual cosa – scrive Sardo – smentirebbe “la tesi dell’inciucio narrato dai vari Grillo e Travaglio”. Forse a Sardo è sfuggito che il suo Pd ha governato per cinque mesi con il Pdl di B., non di Alfano, e continua a farlo dopo che B. ha smentito se stesso e rinnovato la fiducia a Letta. Insomma, a perdere la faccia sono in tanti. Compresi quanti finora avevano sostenuto l’inciucio Napolitano-Pd-B. e ora dicono che non era un inciucio perché B. s’è tirato indietro per un paio di giorni. Prendete Massimo Franco, il pompierino della sera: ora esulta per l’“emancipazione davvero moderata dei ministri e di molti parlamentari” del Pdl da B. e per l’avvento di “una vera maggioranza politica delle larghe intese”, eroicamente “forgiata passando attraverso una strettoia drammatica” da quel grande statista di Alfano “che non può essere sminuito con la categoria dei transfughi o dei complici della sinistra”. Insomma, splende nel firmamento “una nuova maggioranza” con “forte identità” e “più marcata omogeneità”, “protetta e consigliata da Giorgio Napolitano”, slurp, al posto dell’orripilante “ammucchiata numerica” che sosteneva Letta fino all’altroieri. Che strano: cinque mesi fa, quando nacque il governo Letta, non si ricordano intemerate di Franco o del Pompiere contro gli inventori dell’“ammucchiata numerica”, da Napolitano in giù. Al contrario, si rammentano solo lodi sperticate alle “larghe intese” che ci avrebbero presto regalato l’agognata “pacificazione” fra guardie e ladro. Ma questi profeti del giorno dopo, questi sfondatori di porte aperte, questi scalatori di discese sono fatti così: chi comanda ha sempre ragione. Ieri applausi al governo Lettusconi, oggi standing ovation al governo Alfetta, domani dipende. Pigi Battista è tutto bagnato per “il delfino Alfano che ha trovato il suo quid” e, soprattutto, “non ha fatto l’errore di Fini” di “rinnegare la storia del berlusconismo”. Virman Cusenza, sul Messaggero , riesce addirittura a vedere negli Alfanidi abbarbicati alla cadrega “l’anima liberale e quella cattolica”. Marco Tarquinio, su Avvenire , si emoziona perché “finalmente il bene comune ha prevalso sugli interessi personali e di fazione”. E persino un fuoriclasse come Massimo Gramellini, su La Stampa, si entusiasma per la “maggioranza europea” partorita da quel genio di Napolitano. Europea? Ma le ha viste le facce dei 35 Scilipoti all’incontrario?

Tutti poi, ma proprio tutti, danno B. per morto. È un’espressione che ci pare di aver già letto e sentito fin dal 1994. E che, fondata o meno, porta sfiga solo a chi la pronuncia. Vedremo fra qualche mese chi è il morto: quando gli italiani che dimenticano tutto in 24 ore si saranno scordati della buffonata dell’altroieri; quando le colombe cominceranno a scannarsi con fauci e ganasce da far impallidire quelle dei falchi, o torneranno all’antica voliera per ripararsi dal linciaggio dei killer del padrone, o scopriranno dai sondaggi che un partito con Angelino leader vale lo zero virgola; quando il governo Alfetta ci farà pagare con gl’interessi tutte le tasse che B. aveva fatto rinviare e lui, con un piede dentro e l’altro fuori, potrà lucrare dal malcontento popolare e addirittura risorgere dall’avello. Allora sarà il caso di conservare le foto, i proclami e i titoli di questi giorni. Ma sarà un esercizio inutile, perché gli autori diranno che l’avevano previsto, loro.