Emmanuele Massagli, Libero 4/10/2013, 4 ottobre 2013
ECCO LA MIA ALTERNATIVA ALLA CASSA INTEGRAZIONE
I recentissimi dati sulla disoccupazione generale e il superamento della soglia del 40% nel tasso di disoccupazione giovanile non permettono una lenta cura “all’italiana” (col cacciavite legislativo di precisione, trattando molto e non scontentando nessuno) del morbo che affligge le politiche attive, in particolar modo quelle gestite dal settore pubblico. Integrazione tra politiche attive e passive, incentivi e condizionalità dei premi per gli operatori che collocano i disoccupati, riqualificazione del personale dei Centri pubblici per l’impiego, apertura degli uffici placement nelle scuole. Sono tutti ritornelli che gli addetti ai lavori conoscono meglio di qualsiasi canzone. Se però la musica può permettersi di rimanere nella sfera della fantasia, tale facoltà non è concessa a funzioni fondamentali in qualsiasi economia avanzata come l’orientamento, la formazione, l’intermediazione. Pochi ambiti possono vantare tanta legislazione inattuata come quello delle politiche attive: nessun caso di reale rispetto del patto di servizio che obbligherebbe il percettore di trattamenti di sostegno al reddito alla accettazione di offerte di lavoro congrue; inadempienza di molte università nella pubblicazione gratuita sui propri siti dei curricula dei neolaureati; ancora poco dialogo tra le banche dati delle politiche attive e passive, tanto pubbliche quanto private; ingenti fondi europei non utilizzati nelle regioni del Sud; una fallimentare realizzazione del federalismo e molto altro ancora.
Il punto è quindi: perché le leggi non vengono attuate? Il primo problema è essenzialmente quantitativo: poiché sono talmente tante e così ravvicinate che neanche gli operatori riescono a conoscerle. L’ansia da prestazione di miglioramento del nuovo legislatore rispetto al legislatore precedente sta aiutando giornalisti, ricercatori, avvocati e consulenti ad avere sempre qualcosa da dire o parere da rendere, ma non certo imprese e lavoratori a vincere la quotidiana lotta con la burocrazia lavoristica. Non è da sottovalutare anche una seconda ragione: gli interventi normativi sono spesso pensati in uffici ministeriali ben attenti a non contaminarsi con l’aria imperfetta, ma reale, del mondo produttivo. Col risultato che spesso si risponde a domande che nessuno ha mai posto e si ignorano i problemi urlati a piena voce.
Troppa e complessa legislazione, quindi, lontana dal problema reale. Ebbene, l’emergenza disoccupazione è certamente un nodo concretissimo. Sta ora al Governo sfruttare i fondi europei della Youth guarantee non per un esercizio di produzione legislativa sovrabbondante, ma per intervenire efficacemente sul servizio pubblico di accompagnamento al lavoro (quantomeno garantendo al cittadino i servizi essenziali che ogni disoccupato dovrebbe ricevere, assistenza e orientamento in primis). Senza dimenticare che, pur con tutti i limiti di un settore ancora immaturo nel confronto internazionale, dal 1997 ad oggi l’intermediazione ha avuto una sua concretizzazione formale (ma è ancora - e di gran lunga - la conoscenza diretta il primo canale di ricerca del lavoro) grazie alle agenzie per il lavoro, chiamate a confrontarsi coi dati ricordati per dimostrare anche ai loro detrattori che offrono un servizio pubblico senza bisogno di essere “di Stato”. Sarebbe un peccato usare la leva europea solo per rilanciare e valorizzare il servizio statale o regionale nella politica attiva, portando il settore privato verso l’inefficienza del pubblico e non, viceversa, contaminando il settore pubblico con le migliori pratiche del settore privato, italiane ed europee.
Emmanuele Massagli*
*Presidente Adapt
@EMassagli