Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  ottobre 04 Venerdì calendario

35MILA MORTI NEL MARE NOSTRUM


Un Olocausto nel Mediterraneo. Oltre 35mila immigrati morti nel tentativo di approdare nella terra promessa. L’Italia, ultimo lembo di Europa verso l’Africa e i Paesi del Medio Oriente, un pezzo di terra alla quale in tanti cercano di approdare per sfuggire alla fame e alle guerre. Una strage continua, un mare nostrum insanguinato che costituisce un business lucroso per tanti micro e macro organizzazioni criminali.
I viaggi della speranza, o meglio la fuga dalle tragedie, prendono il via in molti casi miglia e miglia lontano dalle coste. E questa l’odissea della migrazione subasahariana che vede etiopi, eritrei e somali ingrossare le fila e dei disparati e le tasche dei trafficanti. Con 300-400 dollari si paga il passaggio nel deserto a bordo di scassati camion e senza acqua e cibo. Chilometri e chilometri lungo le piste che tagliano l’Africa da est a ovest fino al mare di Tunisia e Libia. Altra via di fuga dall’inferno dei propri Paesi è il valico egiziano di Al Awaynat che apre la strada verso Kufra in Libia o il porto di Alessandria. Ogni passaggio ha i suoi trafficanti. I suoi wasit, intermediari, gestiscono i flussi e indirizzano, ogni volta pretendendo denaro contante, verso le zone di imbarco.
Una volta giunti sulle coste gli immigrati, in base a quanto possano pagare, vengono imbarcati verso l’Italia. Con 1500, duemila dollari si può ottenere un passaggio su un barchino o un gommone. Ce ne vogliono almeno tremila per salire a bordo di un peschereccio e una nave-madre dalla quale saranno poi trasbordati su piccoli natanti lasciati alla deriva a decine di miglia dalla costa italiana.
I punti di imbarco per l’immigrazione subsahariana sono i porti tunisini di Sfax e Sousse, ma anche le spiagge sud di Tunisi sono considerati buoni per l’imbarco. Resta in primo piano il porto di Al Zwarha, poco più di un villaggio in Libia che si trova a pochi chilometri dal confine tunisino e cento da Tripoli. Molto spesso gli immigrati vengono trasferiti sull’isolotto di Farwa da dove mantenendo il timone su rotta 0/0 si giunge in poche ore a Lampedusa. A volte i trafficanti libici preferiscono le meno controllate spiagge di Al Mankoub e Haka Shair.
Non da oggi le rotte dall’Egitto si avvalgono di pescherecci che raccolgono immigrati del Corno d’Africa e gli stessi egiziani. Naviganti esperti, i marinai egiziani, lasciati i porti di Alessandria o Suez fanno rotta verso Creta, quindi costeggiano Malta e lasciano il loro carico davanti le coste della Calabria. Una rotta questa usata anche dai trafficanti che salpano da Izmir o Bodrum in Turchia con il loro carico di bengalesi, afghani e in questi mesi sempre più siriani. I wasit li contattano nei campi profughi e per cinquemila dollari garantiscono la traversata verso l’Europa. Le isole greche del Dodecanneso sono già un brulicare di profughi e ora si spingono sempre più a est verso l’Italia. In questi casi le organizzazioni criminali turche usano navi ucraine con equipaggi greci e libanesi. Queste sono perlopiù navi-canguro. Infatti, avendo a bordo centinaia di immigrati, arrivati a venti miglia dalle coste italiane, in acque internazionali, fanno salire i loro «passeggeri» su barchini e scialuppe e li abbandonano al loro destino. Eppure la maggior parte dei clandestini in Italia arriva via terra. Secono i dati del Ministero dell’Interno solo il 15% arriva via mare.
Maurizio Piccirilli