Maurizio Piccirilli, Il Tempo 4/10/2013, 4 ottobre 2013
35MILA MORTI NEL MARE NOSTRUM
Un Olocausto nel Mediterraneo. Oltre 35mila immigrati morti nel tentativo di approdare nella terra promessa. L’Italia, ultimo lembo di Europa verso l’Africa e i Paesi del Medio Oriente, un pezzo di terra alla quale in tanti cercano di approdare per sfuggire alla fame e alle guerre. Una strage continua, un mare nostrum insanguinato che costituisce un business lucroso per tanti micro e macro organizzazioni criminali.
I viaggi della speranza, o meglio la fuga dalle tragedie, prendono il via in molti casi miglia e miglia lontano dalle coste. E questa l’odissea della migrazione subasahariana che vede etiopi, eritrei e somali ingrossare le fila e dei disparati e le tasche dei trafficanti. Con 300-400 dollari si paga il passaggio nel deserto a bordo di scassati camion e senza acqua e cibo. Chilometri e chilometri lungo le piste che tagliano l’Africa da est a ovest fino al mare di Tunisia e Libia. Altra via di fuga dall’inferno dei propri Paesi è il valico egiziano di Al Awaynat che apre la strada verso Kufra in Libia o il porto di Alessandria. Ogni passaggio ha i suoi trafficanti. I suoi wasit, intermediari, gestiscono i flussi e indirizzano, ogni volta pretendendo denaro contante, verso le zone di imbarco.
Una volta giunti sulle coste gli immigrati, in base a quanto possano pagare, vengono imbarcati verso l’Italia. Con 1500, duemila dollari si può ottenere un passaggio su un barchino o un gommone. Ce ne vogliono almeno tremila per salire a bordo di un peschereccio e una nave-madre dalla quale saranno poi trasbordati su piccoli natanti lasciati alla deriva a decine di miglia dalla costa italiana.
I punti di imbarco per l’immigrazione subsahariana sono i porti tunisini di Sfax e Sousse, ma anche le spiagge sud di Tunisi sono considerati buoni per l’imbarco. Resta in primo piano il porto di Al Zwarha, poco più di un villaggio in Libia che si trova a pochi chilometri dal confine tunisino e cento da Tripoli. Molto spesso gli immigrati vengono trasferiti sull’isolotto di Farwa da dove mantenendo il timone su rotta 0/0 si giunge in poche ore a Lampedusa. A volte i trafficanti libici preferiscono le meno controllate spiagge di Al Mankoub e Haka Shair.
Non da oggi le rotte dall’Egitto si avvalgono di pescherecci che raccolgono immigrati del Corno d’Africa e gli stessi egiziani. Naviganti esperti, i marinai egiziani, lasciati i porti di Alessandria o Suez fanno rotta verso Creta, quindi costeggiano Malta e lasciano il loro carico davanti le coste della Calabria. Una rotta questa usata anche dai trafficanti che salpano da Izmir o Bodrum in Turchia con il loro carico di bengalesi, afghani e in questi mesi sempre più siriani. I wasit li contattano nei campi profughi e per cinquemila dollari garantiscono la traversata verso l’Europa. Le isole greche del Dodecanneso sono già un brulicare di profughi e ora si spingono sempre più a est verso l’Italia. In questi casi le organizzazioni criminali turche usano navi ucraine con equipaggi greci e libanesi. Queste sono perlopiù navi-canguro. Infatti, avendo a bordo centinaia di immigrati, arrivati a venti miglia dalle coste italiane, in acque internazionali, fanno salire i loro «passeggeri» su barchini e scialuppe e li abbandonano al loro destino. Eppure la maggior parte dei clandestini in Italia arriva via terra. Secono i dati del Ministero dell’Interno solo il 15% arriva via mare.
Maurizio Piccirilli