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 2013  ottobre 04 Venerdì calendario

L’ALTRO AUGUSTO

Da diciottenne gracile e malaticcio a padrone del mondo. Fu una sorpresa anche per i suoi contemporanei Ottaviano, il futuro Augusto, che conquistò e mantenne il massimo potere per quarant’anni, diventando esempio inimitabile per i successori. Un mito: per la storia di famiglia, la vittoria su Cleopatra e, soprattutto, per aver regalato a Roma, stremata da un susseguirsi di guerre civili, un periodo così lungo di pace. In occasione del bimillenario della morte, avvenuta a Nola nel 14 dopo Cristo, le Scuderie del Quirinale ne avviano a Roma le celebrazioni con la mostra: “Augusto”, dal 18 ottobre al 9 febbraio 2014 (catalogo Electa), che poi si trasferirà al Grand Palais di Parigi.
C’è già stata, in occasione del bimillenario della nascita di Augusto, una celebrazione dell’Imperatore. Correva l’anno 1937. I festeggiamenti cominciati il 23 settembre durarono dodici mesi. A monte c’era un lavoro febbrile per restaurare monumenti sparsi per l’Italia, soprattutto a Roma, dove si ricomponeva l’Ara Pacis e si metteva mano all’isolamento del Mausoleo. Furono chiamati a collaborare i classicisti, italiani e stranieri, in un fervore di pubblicazioni e convegni. Benito Mussolini voleva celebrare, con il pretesto di Augusto, il fasto della romanità. La rassegna occupò il Palazzo delle Esposizioni e altri edifici, e fu senza precedenti per la mole di plastici (duecento) e calchi (tremila) delle opere più significative realizzate durante tutto l’impero. Nei vari ambienti erano illustrate la vita militare, la letteratura, l’architettura, le terme, le biblioteche, la medicina: tutto poi confluito nel Museo della Civiltà romana all’Eur, con la sala augustea che ospitava una stele con la Croce e la narrazione del censimento secondo il Vangelo di Luca. In un regime che si ricollegava alle antiche glorie anche nei simboli e nei nomi, nessuno, più del fondatore dell’antico impero, poteva suggestionare, nell’intento apologetico dei promotori, un confronto diretto con Mussolini: per aver portato ordine e pace, riorganizzato la vita politica e amministrativa, moralizzato i costumi, rinnovato l’urbanistica. Il parallelismo fu ribadito dall’archeologo Giulio Quirino Giglioli, curatore della mostra di allora, nel discorso inaugurale che terminava con: «Le vostre parole, o Duce, che ho fatto scrivere all’entrata di questa mostra: “Italiani, fate che le glorie del passato siano superate dalle glorie dell’avvenire”». Per la cronaca, durante l’apertura al pubblico arrivarono la famiglia reale, Hitler e un milione di visitatori.
Oggi siamo finalmente in grado di vedere un Augusto diverso, umano. Come spiega l’ideatore del progetto attuale Eugenio La Rocca, che è anche curatore con altri studiosi, tra i quali Claudio Parisi Presicce e Daniel Roger, si è voluto privilegiare l’aspetto artistico e culturale del primo principe: «Attraverso statue in marmo e di bronzo, rilievi, arti minori, sarà raccontata l’ideologia augustea. Per questo evento, da diversi musei stranieri e collezioni private arrivano rappresentazioni a figura intera e si riuniscono per la prima volta preziosi pannelli figurati. Ci sarà anche l’unica lastra mancante dell’Ara Pacis, conservata al Louvre».
Sono centinaia le opere che illustreranno il cosiddetto classicismo augusteo: un’arte raffinata che fondeva in modo originale il naturalismo italico e la tradizione ellenica, con l’apporto di scultori, incisori di cammei e pittori di provenienza greca. Era già iniziata la rivoluzione declinata in ogni aspetto della vita romana dall’erede e pronipote di Giulio Cesare, quando il Senato nel 27 avanti Cristo gli conferì il titolo di “Augusto” perché aveva “restituito” lo Stato al popolo e alla Curia. In realtà con lui la Repubblica cessò di esistere, salvo che nelle cariche formali; ma il fondatore della dinastia giulio-claudia, che si presentava come novello Romolo, fu abilissimo nel mostrarsi deferente verso l’establishment conservatore e propugnatore di riforme nel solco della religione e della tradizione degli avi.
Cinico, determinato, implacabile con i nemici, mai però tiranno, ottenne tutto senza chiedere niente, concentrò nella sua persona cariche a vita, onori, mostrando grande lungimiranza ma, soprattutto, circondandosi di persone eccellenti e avvalendosi di uno straordinario apparato per la propaganda. Nessuno come lui riuscì a curare così bene la sua immagine, lasciando pure per iscritto le “Res gestae”, per tramandare ai posteri il suo operato, tra grandiosità e modestia. E così, mentre il ricco amico Cilnio Mecenate, di origini etrusche, bonificava l’Esquilino e creava parchi, Marco Vipsanio Agrippa, prima generale, poi anche suo genero, costruiva nel Campo Marzio il Pantheon, le prime terme pubbliche, portici pieni di opere d’arte, e Virgilio componeva l’Eneide per glorificare le origini mitiche della famiglia al potere.
Dal canto suo, Augusto, ribadendo di voler essere solo “primus inter pares”, mantenne sempre un atteggiamento low profile, casa non di lusso, frequentazioni consuete, rispetto del Senato, anche se la sua autorevolezza e il suo potere erano indiscussi. Trionfale nella vita pubblica, fu invece sfortunato in quella privata. Sposò in terze nozze Livia Drusilla (“Ulisse in gonnella” l’avrebbe definita Caligola), incinta del precedente marito, lo stesso giorno in cui divorziò da Scribonia che stava per dare alla luce la sua unica figlia Giulia. Destini incrociati e terribili che culminarono nella morte precoce dei suoi nipoti-eredi e lo privarono di tante persone care.
Nella mostra potremo vedere le immagini di questi protagonisti, a cominciare dalle grandi statue in marmo e in bronzo di Augusto, mai affiancate in precedenza, che lo ritraggono mentre arringa i soldati, si mostra ammantato come pontefice e a cavallo (dai Musei Vaticani, Palazzo Massimo a Roma, Atene). Poi gli altri: moglie, figlia, sorella, nipoti. Di particolare interesse è la testa attribuita a Giulia, ritrovata a Béziers alla fine dell’Ottocento, perché di lei si hanno poche notizie e quasi nessuna immagine: esiliata nell’isola di Pandataria, odierna Ventotene, per condotta scandalosa (ma forse coinvolta in una fronda anti-imperiale), aveva sposato prima il cugino Marcello che morì giovanissimo; in seguito Vipsanio Agrippa e, dopo la sua scomparsa, il futuro imperatore Tiberio.
Le diverse sezioni della rassegna illustreranno le rappresentazioni del principe, l’Età dell’oro, il rapporto con le divinità, la vita quotidiana, gli echi nelle province, per concludersi con l’apoteosi e la morte. E nelle varie sale saranno proiettate sulle pareti immagini e ricostruzioni virtuali di monumenti e affreschi di grandi dimensioni ancora visibili nella capitale, come la casa sul Palatino, i resti del Foro col tempio di Marte, i grandi affreschi ritrovati nelle ville di Prima Porta e della Farnesina.
All’epoca, la città cambiò volto: portici ariosi, approvvigionamento idrico potenziato, creazione di fontane e giardini, un lago artificiale per battaglie navali nel bosco a Trastevere appartenuto a Cesare, restauri e costruzioni di basiliche, teatri e templi. Ma è l’Ara Pacis, arrivata sino a noi nel recinto marmoreo, il monumento dove si concentra in un’arte mirabile tutto il programma di Augusto: religioso, politico e sociale. Fu dedicata dal Senato il 30 gennaio del 9 avanti Cristo per celebrare la pacificazione dell’impero ed esaltare origini e valori di Roma. I bassorilievi esterni raffigurano il pio Enea che sacrifica ai Penati, il Lupercale, la Terra (“Saturnia Tellus”) e una processione sacra con i collegi sacerdotali e tutti i membri della famiglia imperiale. Questa sfilata, che si snoda sui lati più lunghi, è come una grande istantanea dell’epoca che ci regala informazioni su ruoli e attributi, e contribuiva, con le altre raffigurazioni, a infondere ai romani la certezza di vivere in un mondo felice e ordinato. «È stato davvero un grande sforzo organizzativo, che ha visto la diretta collaborazione del Louvre», ribadisce La Rocca. «Tutte le opere celebrano, sì, Augusto, ma si possono definire un omaggio alla bellezza e alla grandezza dell’arte romana raggiunta in quell’epoca».