Roberto Di Caro, L’Espresso 4/10/2013, 4 ottobre 2013
CRAC ALLA PIEMONTESE
Per i dipendenti del Comune, Rita Rossa è ormai "Belfagor": da quando s’è messa in part-time da sindaco ed è tornata a insegnare al liceo, in municipio appare e scompare tra un’ora di latino, una di storia e due di italiano. Così l’assessore Giovanni Ivaldi, da lei rispedito al suo impiego alle Poste: nello stato in cui versano le finanze di Alessandria, si risica anche qualche centinaio di euro risparmiati sulla diaria. D’altra parte, a che serve a tempo pieno un assessore "all’aggregazione sociale e all’innovazione partecipata" quando i servizi sociali sono per metà sbaraccati, chiuso l’Informagiovani, schizzate per legge al massimo consentito le aliquote Imu e l’addizionale comunale Irpef, raddoppiate le rette degli asili, deserte persino le colonnine del bike-sharing senza più una bicicletta? Nobile città militare e sabauda, patria dell’astuto villico Gagliaudo che beffò il Barbarossa e di Umberto Eco che la sua leggenda riprese in "Baudolino", Alessandria, ufficialmente fallita dopo l’intervento della Corte dei Conti, è in un vicolo cieco da cui non riesce a uscire. Non ha i soldi per pagare fornitori e bollette. Aspetta aiuti statali che forse non arriveranno mai. Dovrebbe tagliare 4-500 dei duemila dipendenti fra l’amministrazione e le sue 36 partecipate, ma non può farlo. I negozi chiudono, l’economia si spegne, la movida è da piangere, le strade sono sconnesse. Alzi gli occhi e vedi le imposte divelte o spaccate del settecentesco Palazzo Rosso sede del Comune, e i muri scrostati dall’umidità: che la pubblica amministrazione cada a pezzi è qui ben più che un modo di dire.
Non bastasse, è ormai guerra di tutti contro tutti. La vecchia maggioranza di centrodestra è stata condannata dalla Corte dei Conti a risarcire danni erariali per 7,5 milioni di euro (4 gli allora sindaco, assessore alle Finanze, ragioniere capo messo agli arresti, altri 3 e mezzo una trentina di assessori e consiglieri che votarono il bilancio), ma attacca ora la nuova giunta e si prepara a farle causa: «Con 46 milioni di debiti e 537 di patrimonio, non doveva dichiarare fallimento, ma tergiversare e chiedere altri sei mesi di tempo», spara l’ex-sindaco Piercarlo Fabbio, Pdl. «Ma che dice!», replica la sindaca Rossa, eletta col 60 per cento a giugno 2012: «se non ufficializzavo il default la città sarebbe stata immediatamente commissariata».
Saranno almeno contenti i sindacati, uno pensa. Invece no, è guerra anche con loro. A metà settembre, per l’annuale kermesse politico-canora GlocAl della Cgil alessandrina, arriva in persona Susanna Camusso e qual è la prima cosa che dice nell’affollato salone della loro grande e ben tinteggiata sede? «Il dissesto ve lo siete cercati, con il default avete scelto di autocondannarvi». La sindaca quasi salta sulla sedia, se non litigano in pubblico è solo per compostezza istituzionale. «In privato, presenti sei o sette persone, Camusso mi ha poi detto una cosa anche più grave», racconta Rossa: «che noi, allora opposizione, non dovevamo denunciare le irregolarità di bilancio. Se il concetto di legalità è tenere la bocca chiusa...». Correzione da chi, in Cgil, a quello scambio di battute era presente: «Camusso non ha mai detto di tacere, ma di denunciare le irregolarità alla Procura della Repubblica anziché alla Corte dei Conti». Felici almeno i dipendenti, di due paladine che per vie diverse si contendono la loro difesa? Non sembra. Vai alla Chiesa di San Michele, appena in periferia, e accampate giorno e notte su materassi sotto l’altare laterale incontri Valeria, Giovanna, Livia, Halina, in tutto otto delle venti cuoche delle mense lasciate a casa insieme a 40 educatori precari: «Nessuno sarà lasciato indietro, era lo slogan di Rita Rossa! Noi le abbiamo anche fatto campagna elettorale, lei costituisce un’azienda speciale per tenerci, ma mesi dopo scopre che l’azienda non può assumere nessuno, arrivederci e grazie».
Comunque uno la giri, quello che esce è un papocchio. Miele, per le api 5 stelle. Simone Lumìna, deluso ex-Pd ora con Grillo, comincia col portarti a Piastrellopoli, come hanno ribattezzato le centralissime vie Modena, Piacenza, Rattazzi e Alessandro III: a onde, a gobbe, sconnesse, piene di buchi e inciampi, 550 mila euro spesi in epoca Fabbio per rifarle con pietre "autobloccanti" che sollevi con una mano e ti porti via quando vuoi: «Soldi della partecipata comunale Amag acqua e gas, dell’allora onnipotente presidente Lorenzo Repetto poi indagato per truffa e abuso d’ufficio. Amag era la cassaforte dell’amministrazione Fabbio, la gran dispensatrice di prebende a destra e a sinistra. Una commissione d’inchiesta comunale a guida 5 stelle ha steso un Libro bianco sulle sue spese superflue...». Scorri i fasti passati di Amag e ci trovi stipendi da capogiro, mezzo milione in spese di rappresentanza, rimborsi spese del solo presidente per 53 mila euro, consulenze per accatastamenti mai avvenuti, sponsorizzazioni a pranzi della befana e associazioni del tamburello, esposizioni di orchidee, giornalini ciclistici, ma anche boy scout, Cisl e Cgil. Fino ai 500 mila euro per 100 mila rose moldave da piantare in città, inclusi viaggi di più delegazioni in Moldavia, forse per cogliere qualche rosa di prova. Come Gagliaudo con il Barbarossa, si voleva far credere che la città scoppiava di salute? Tutta «vigore, ricchezze, memoria» come nell’Inno di Alessandria scritto e cantato dall’ex-sindaco (http://www.youtube.com/watch?v=_x-R4M19sn0)? Sfortuna vuole che la Corte dei Conti si sia rivelata meno ingenua del Barbarossa.
Tra le ferite aperte, il Teatro Comunale. In un locale caldaia c’era paglia di vetro contenente amianto. Con il potente Repetto di Amag seduto sia nella Fondazione teatrale sia nel cda, si incarica di rimuoverlo una ditta di Castelletto d’Orba, paese dove Repetto risiede. Un condotto d’aerazione lasciato aperto e le polveri d’amianto si spandono in tutto l’edificio, contagiano centinaia di spettatori, rendono inagibile la struttura. Chi viene chiamata a bonificarla? La stessa impresa che ha fatto il danno. Ma dei lavori di ripristino non c’è traccia.
Ora, dunque, non resta che tagliare. Che cosa? E come? L’opposizione di destra, il vecchio sindaco sotto accusa ma ringalluzzito dall’attuale impasse e spalleggiato dal suo ultimo ragioniere-capo Paolo Ansaldi, dice che «ci vuole inventiva: bisogna cedere il 50 per cento delle partecipate. Noi eravamo riusciti a vendere la concessione per la sola raccolta e trasporto rifiuti, come dire l’immateriale, lo Spirito Santo, per 40 milioni! Ma ci hanno bloccati per "sospetta" illegittimità!». A chi vendevano aria? A un raggruppamento d’imprese al 51 per cento Amiu, partecipata del Comune, cioè a se stessi; il resto al colosso Iren. Finanza creativa, si chiama. E la sindaca? S’arrampica sugli specchi, presa in mezzo tra il bilancio e il sindacato: «Abbiamo tagliato tutto il possibile, su mille capitoli di spesa 700 sono a zero, manutenzione strade, sussidi alla povertà, politiche sociali, precari. Mancano ancora sei milioni. O tagli ore di lavoro o tagli teste. Non si scappa». Calcola che con un taglio del 30 per cento sugli stipendi di tutti i dipendenti si recupererebbero 12 milioni e la salvezza. «Ma per legge il part-time è scelta volontaria del lavoratore, i sindacati mi sono contro, a luglio è scoppiata una protesta solo perché si ventilava fosse a rischio la quattordicesima!».
Stallo. Ma non oltre metà ottobre. Perché, chiude Rossa, «se entro il giorno 15 non troveremo un accordo la mia giunta non avrà altra scelta che dimettersi. E lasciare il posto a un commissario. E allora altro che difesa dei posti di lavoro! Via, in mobilità, e fra due anni a casa!»