Mattia Feltri, La Stampa 4/10/2013, 4 ottobre 2013
STRESSATO E FRAGILE FINALE DI PARTITA AMARO PER IL CAVALIERE STANCO
Dice il dottor Alberto Zangrillo che il suo paziente più famoso, Silvio Berlusconi, è «sotto stress». Altri sprovvisti di titoli scientifici dicono che «è provato», che è «sfinito», che «è incredulo», che «fatica a realizzare quello che è successo», che «non è presente a se stesso». Non sempre, perlomeno. Ieri dicono fosse già più sereno, come uno che s’è liberato di un peso. Ma fino alla notte precedente era stato soggetto a crisi di pianto che per lui sono una costante, ultimamente. Tutti lo hanno visto piangere in aula, quasi a singhiozzare, subito dopo aver pronunciato il breve discorso della fiducia al governo. Aveva pianto anche poco prima, al Senato, dopo un incontro con Nunzia De Girolamo, il ministro delle Politiche agricole. Lei piangeva a dirotto, lui aveva a gli occhi arrossati. Ha pianto ancora più tardi, a Palazzo Grazioli, mentre incontrava alcuni dei suoi. Non era un pianto rabbioso. Non ha accusato nessuno di tradimento. Solo che è stanco, tutto gli pare così faticoso, si commuove con poco. In una delle tante riunioni delle scorse ore, un falco di quelli arrabbiati stava tenendo un’arringa sui traditori e sulla necessità spazzarli via, o qualcosa del genere, e Berlusconi lo ha interrotto: «Martedì notte, intorno alle due, Angelino è venuto a trovarmi a Palazzo Grazioli, e non per convincermi a votare la fiducia o per mettermi in guardia da qualcuno. Mi ha semplicemente detto delle cose che porterò per sempre nel cuore». Mentre lo diceva, gli tremava la voce.
L’orribile tragedia di Lampedusa ieri ha rallentato il lavoro. Ma di incontri ce ne sono stati numerosi. Sin da mercoledì sera, poche ore dopo la fiducia al governo. Berlusconi era a Palazzo Grazioli da solo con Gianni Letta. A un certo punto sono arrivati tutti, come al solito. Erano ipertesi, vociavano, cercavano di scuoterlo, lo incitavano alla vendetta. Sono stati soprattutto i decibel a convincere Letta ad andarsene. Gli ospiti sono rimasti lì fino alle due e mezzo di notte, a proporgli piani di guerra, ma lui di guerreggiare non ha nessuna voglia. Ha ripetuto in continuazione che il partito deve rimanere compatto, che tutta quella rabbia, da una parte e dall’altra, è inconcepibile. Noi siamo sempre stati insieme, ha detto, e andremo avanti così. Qui le versioni si fanno discordanti. Qualcuno sostiene che a un certo punto è arrivato Alfano. L’episodio è smentito dal portavoce del vicepremier. Forse c’è stata un telefonata, comunque Alfano - raccontano i lealisti - ha chiesto a Berlusconi l’azzeramento delle cariche del partito, e cioè l’eliminazione di Daniela Santanché e di Denis Verdini. «Berlusconi ha detto di sì, ma in questo momento direbbe qualunque cosa pur di accontentare Alfano, o almeno per di evitare altri attriti», dice uno. «Lo guardi e a volte sembra un pulcinotto che cerca la mamma e non riesce a trovarla», dice un altro. La susseguente lite fra Alfano e Verdini è questione di pettegolezzo e di ovvie smentite.
È che sono tutti smarriti. «È indeciso, è poco lucido. Soltanto adesso pare aver afferrato in pieno che nel giro di poche settimane non sarà più un parlamentare della Repubblica e dovrà scontare un pena. Si sente umiliato, gli si inumidiscono gli occhi». Ieri, in un pomeriggio fatto di telefonate e visite ricevute (Alfano alla mattina, prima che il segretario partisse per Lampedusa, poi Renato Brunetta, Paolo Romani), ha colto tutti di sorpresa e ha voluto andare al Senato. Stamane la giunta per le elezioni darà il parere sulla decadenza. Secondo quanto dicono i membri della giunta, all’ultimo Berlusconi ha rinunciato a difendersi, incomprensibilmente. Non andrà nessuno dei suoi avvocati e non andrà neppure lui. Però ieri al Senato - nonostante la notizia sia stata smentita - ha ricevuto nella sua stanza tutti i membri pidiellini tranne Carlo Giovanardi (con cui è irritato per la durezza dimostrata in questi giorni). Poi, dopo aver raggiunta una conclusione a noi ignota, è tornato a Palazzo Grazioli, dove alle 19.30 aveva appuntamento con una delegazione di anti-alfaniani, che gli dovevano portare le firme di chi si oppone al colpo di mano. «Lui è questo derby che non sopporta. L’altra sera ha detto a noi “falchetti” che siamo stati troppo aggressivi. Però adesso è Alfano che vuole la pulizia etnica. Non so che dire, mi sembra che tutto ci stia sfuggendo di mano, a noi ma anche a lui».
«Ho votato la fiducia perché sennò li avevo tutti addosso, Confindustria, Assolombarda, le banche ... Era l’unica soluzione, come fate a non capire?». Ripete la frase a chiunque. Prova a recuperare il buon umore, a tirare fuori qualche facezia delle sue: «Mi dovranno rioperare di ernia per lo sforzo che ho fatto a votare la fiducia». Tutti ridono. Lui per qualche secondo è quasi contento.