Gianni Riotta, la Stampa 4/10/2013, 4 ottobre 2013
BIG DATA, FAI PIÙ GOL E VAI ALLA CASA BIANCA
Se dovessi indicare la persona che più sta cambiando la politica, l’informazione e la cultura del nostro tempo, non vi suggerirei un leader popolare, Obama, Xi Jinping, la Merkel, e neppure un blogger o un internauta, non Andrew Sullivan del Dish e non un romanziere alla moda, Franzen o Littell. Vi direi Nate Silver, poco più che trentenne, un number cruncher, uno che passa la vita a macinare numeri. Grazie ai numeri Silver ha capito che il baseball non è sport per furbi veterani, ma semplice algoritmo di palle lanciate, parabole, fisica e ribattute, cambiando con i suoi calcoli il valore dei calciatori.
Bene, direte voi, il baseball è gioco di schemi ripetitivi ma il calcio, il nostro amato football con la sua fantasia latina e carioca, sfugge certo a ogni arido calcolo di Big Data, grandi numeri elaborati al computer. Sbagliato purtroppo, cari amici, perché, come dimostra il saggio The numbers game degli studiosi Anderson e Sally, anche il calcio può analizzarsi secondo i Big Data. Si trasportano su un programma di computer tutte le giocate di un asso, di una squadra, interi campionate e coppe e se ne derivano algoritmi e giudizi. L’allenatore Roberto Mancini ha mutato al Manchester City il modo preferito di battere i corner, dalla bandierina verso l’esterno, quando gli analisti di Big Data del club gli hanno dimostrato come la traiettoria opposta, a convergere verso l’interno dell’area, facilita la trasformazione in gol. Seguendo i Big Data Mancini ha ottenuto 13 gol in più. Due assi della difesa, Maldini e Stamm, hanno visto la carriera analizzata al completo. Stamm ha eseguito molti più tackle, ricevendo ammonizioni e punizioni contro, e in passato il suo attivismo sarebbe stato elogiato nelle pagelle sportive. Maldini invece, grazie a un superiore senso della posizione, non doveva neppure intervenire, semplicemente negando con la scelta tattica la diagonale all’avversario. Meno interventi, meno falli e cartellini.
Nate Silver ha cambiato il baseball con i Big Data, poi ha studiato il poker e ha guadagnato centinaia di migliaia di dollari, infine, annoiato, ha seguito con la tecnica Big Data il più violento degli sport umani, la politica. Le sue previsioni, rese popolari dal blog FiveThirtyEight (il numero dei punti elettorali in palio per eleggere il Presidente americano) sul New York Times, hanno calcolato alla perfezione, con l’eccezione dell’Indiana, l’entità della vittoria di Obama alla Casa Bianca nel 2012 e questo giornale è stato il primo a narrarvene la metodologia.
Ora con il saggio Il segnale e il rumore: arte e scienza della previsione, tradotto da Fandango, Silver allarga la sua ricerca. Politici, sportivi, intellettuali, scienziati e giornalisti tradizionali basano le loro previsioni sull’analisi di un campo ristretto di dati e sul proprio «fiuto», la capacità di intuire le conseguenze di un avvenimento dalle precedenti esperienze. Da secoli funzioniamo così, con successi e insuccessi. Gli analisti repubblicani del 2012 sfottevano alla grande il povero Silver, certi del «naso», e finirono derisi dalla realtà. Il pur bravo allenatore Fabbri, nel 1966, non analizzò i dati della realtà, prediligendo il «fiuto» e portando la Nazionale italiana alla débâcle mondiale con la Corea del Nord.
Il metodo dei dati di Silver permette invece di analizzare non «un certo numero di casi», ma «tutti» i dati a disposizione e poi, con un algoritmo preciso, individuarne le prospettive. La Stampa ha utilizzato questo sistema durante le elezioni italiane del 2013, in collaborazione con l’Imt di Lucca e Tycho Big Data, e la precisione del metodo ha sorpreso perfino i protagonisti dell’esperimento.
Silver racconta in un saggio che non è intrattenimento, ma manuale di lavoro, come la meteorologia sia oggi in grado di prevedere gli uragani con precisione maggiore di 30 anni fa, scendendo dall’approssimazione di 560 chilometri di allora a un più ridotto raggio di 160 chilometri. Male invece andiamo per i terremoti, malgrado certe fole in corso a casa nostra la capacità predittiva dei sismologi resta poco precisa. Ci mancano i dati, non abbiamo Big ma Small Data, e il vaticinio resta da Oracolo mitologico.
Contro il metodo di Silver si leva sempre il lamento dei tardo romantici: e che fine farà la fantasia umana, dal calcio alla politica, dalla scienza alla letteratura, se la affideremo solo a numeri da macinare? L’osservazione è però sentimentale e mal posta. Perché lo studio dei Big Data non eliminerà affatto la visione politica necessaria a un vero leader, la sua capacità negoziale: Nate Silver è stato in grado di prevedere che Obama sarebbe stato rieletto, ma non ha nessun algoritmo da proporre alla Casa Bianca per evitare il caos in Siria o lo shutdown fiscale. Un allenatore saprà dai Big Data quali giocatori acquistare con profitto, ma se poi non sa disporli in campo perderà la partita.
Il padre della fisica moderna, Galileo Galilei, credeva che Dio avesse iscritto le leggi della Natura nel libro del mondo, e toccasse a noi imparare a leggerle e comprenderle. Nate Silver ci insegna che le leggi del nostro futuro sono oggi iscritte nei Big Data, dalla vita personale alla pubblica, ma, con umiltà, ricorda che imparare a sillabare questa nuova realtà è faticoso. Quando i miei colleghi giovani mi chiedono dove io veda una speranza futura per il giornalismo professionale, la mia risposta è «nei Big Data». Se impariamo a decrittarli, a leggerli, a interpretarli, allora il lavoro faticoso del cronista, il tradizionale parlare con i passanti del quartiere per capire cosa sta accadendo, può accedere a una potenza immensa: riflettere nel nostro modesto taccuino le voci, le anime, di tutti i passanti, oggi, ieri, domani, in un isolato grande come il mondo. Meraviglioso no?