Sergio Romano, Corriere della Sera 4/10/2013, 4 ottobre 2013
LA NOSTALGIA DI CEAUSESCU FRUTTO DI CATTIVA MEMORIA
LA NOSTALGIA DI CEAUSESCU FRUTTO DI CATTIVA MEMORIA –
Ospite di amici, ho soggiornato in Romania. Abbiamo parlato anche delle differenze fra prima della rivoluzione contro Nicolae Ceausescu e dopo. Ho così scoperto la convinzione diffusissima che allora si stava molto meglio di adesso. Prima tutti lavoravano, i soldi giravano e i romeni erano soddisfatti. Oggi devono emigrare, ma ora è impossibile a causa della crisi internazionale. Molti affermano che Gorbaciov ha tradito quei popoli e ha rubato il premio Nobel, e solo Ceausescu ci ha rimesso la vita. La zona dove sono stato è nel Nord-est del Paese vicino a un’area ex mineraria dove le attività sono cessate anche per problemi ecologici. Qual è la sua opinione?
Giuseppe Simoni
giuseppe.simoni2005@
tiscali.it
Caro Simoni,
A lla fine di dicembre del 1989 Nicolae Ceausescu è stato sommariamente giudicato e brutalmente giustiziato, insieme a sua moglie, da uomini che erano stati, sino a pochi giorni prima, gerarchi del regime. Posso facilmente immaginare che le circostanze della sua morte e la grave crisi in cui la Romania si dibatte da qualche anno abbiano suscitato in alcune fasce sociali una sorta di nostalgia. Ma posso assicurarle che mai nostalgia è stata altrettanto smemorata e mal riposta.
Vi fu un periodo, per la verità, in cui Ceausescu godette in patria e all’estero di una certa popolarità. Era un leader nazionale, pronto a proclamare gli interessi del suo Paese contro gli ordini di scuderia provenienti da Mosca. Nel 1968, mentre Alexander Dubcek a Praga cercava di riformare il Partito comunista e lo Stato cecoslovacco, Ceausescu lo aveva sostenuto, aveva cercato di evitare l’intervento militare del Patto di Varsavia e rifiutato di partecipare con le truppe del suo Paese quando Mosca decise l’invasione. Come Tito nel momento in cui ruppe con Stalin, anche Ceausescu piacque all’Occidente e qualcuno lo salutò come «il De Gaulle romeno». Ma negli anni seguenti sembrò travolto dall’ebbrezza del potere. Quando un terremoto devastò Bucarest nel 1977, ordinò la distruzione di ciò che era rimasto e avviò la costruzione di un centro cittadino che avrebbe avuto per modello Pyongyang, capitale della Repubblica nord coreana. Per modernizzare e industrializzare il suo Paese cominciò a cancellare dalla carta geografica tutti quei bellissimi villaggi rurali che erano un carattere distintivo dell’identità romena. Per costruire un monumento a stesso, impegnò l’intera macchina dello Stato nella costruzione di un palazzo, terminato dopo la sua morte, che è grande, più o meno, quanto il Pentagono di Washington, ha mille stanze, tappeti con le dimensioni di un campo di calcio, tende che pesano 250 chili.
So che il sistema comunista garantiva stabilità nel lavoro e parecchi servizi sociali, ma i debiti provocati dalla megalomania del «conducator» incisero drammaticamente sul livello di vita dei romeni: negozi vuoti, penuria alimentare e case fredde per le continue interruzioni di corrente. La dittatura, nel frattempo, diventava un affare di famiglia. La moglie si credeva una grande scienziata e pretendeva insistentemente onori che non le erano dovuti. Il figlio Nicu, allevato come un principe ereditario, era noto soprattutto per la sua violenza, i numerosi incidenti automobilistici e il denaro sperperato nei casinò di tutto il mondo. Sembra che uno dei suoi migliori amici fosse Uday, figlio di Saddam Hussein.
Come le hanno detto i suoi amici, caro Simoni, molti romeni, in questi anni, sono stati costretti a emigrare. È vero, ma all’epoca di Ceausescu non esisteva neppure questa possibilità; e non esistevano di conseguenza le rimesse che stanno aiutando le famiglie ad affrontare la crisi.