Melisa Garzonio, Corriere della Sera 4/10/2013, 4 ottobre 2013
L’OTTIMISMO DELLA MODA JOLE VENEZIANI
La storia si svolge a Milano, a Villa Necchi, ma comincia a Padova, a Palazzo Zabarella. È il 2007 quando Federico Bano, stilista di pellicceria convertito all’arte, decide di ospitare nella Fondazione che porta il suo nome, a Palazzo Zabarella, l’archivio che raccoglie il lavoro svolto da Jole Veneziani tra gli anni 60 e gli 80. Bano è stato l’ultimo assistente della mitica sarta, che muore nel 1988, nominandolo erede di un lascito personale di oltre 15.000 pezzi, tra abiti, tessuti, disegni, fotografie (oltre duemila) e accessori del suo atelier. «Ci siamo conosciuti a Milano nella seconda metà degli anni 70», ricorda. «Ero un giovane creativo alla ricerca dell’occasione buona, e Jole, donna passionale, capace di slanci, solare, mi aprì un mondo». «Il lavoro di catalogazione è ancora in corso», spiega Bano. E intanto, da Padova ci spostiamo a Milano, dove, dal 10 ottobre, Villa Necchi Campiglio, (oggi Bene del FAI), la casa museo progettata negli anni Trenta da Piero Portaluppi e rimaneggiata in stile neosettecentesco da Tomaso Buzzi nel secondo dopoguerra, ospiterà un’esposizione dedicata al fantastico mondo di Jole Veneziani.
La cura è di Fernando Mazzocca, l’allestimento di Corrado Anselmi, l’intento comune: creare un’ambientazione che dialogasse con la casa. Spiega Anselmi: «Avremmo voluto le indossatrici top della Veneziani, celebrità come Isa Stoppi, Mirella Petteni, Elsa Martinelli, che di Jole fu la musa prediletta: impresa impossibile. Le abbiamo simpaticamente sostituite con un cast di 23 manichini in resina, una ventina, a cui abbiamo assegnato dei ruoli. Ciascuna interpreta un momento della giornata della ricca signora milanese. Naturalmente, tutte in stile Veneziani, dalla testa ai piedi, perché «Jole era una sostenitrice del total look», racconta la storica della moda e docente Bonizza Giordani Aragno. «Sotto l’abito cosa metto? Tutto era coordinato, dalla lingerie al cappello, ai guanti, alle scarpe, rigorosamente in tinta».
La storia di Jolanda Veneziani sposata Aragone, nata a Taranto nel 1908, trasferita a Milano nel 1937 per diventare la sarta italiana più famosa al mondo, ha i contorni di una favola. Anche se non ci sono prìncipi, capricci e castelli, ma «soltanto» una caparbia voglia di riuscire, un forte amore per la vita e una schiera di ottimi collaboratori che lavorano in sintonia. A Milano la giovane Jole apre un laboratorio di pellicceria. Con buona pace delle animaliste, va detto che nella sua fucina di via Nirone realizzò meraviglie, capi unici da museo, fu pioniera del colore, delle lavorazioni a tweed che rendevano i capi leggeri e sciolti come spolverini. «La sua fu la prima rivoluzione nella forma e nella tecnica delle pellicce», sottolinea Giordani Aragno. «Veneziani aveva un grande senso della spettacolarità. Basti ricordare i suoi meravigliosi occhiali di lustrini, che disegnava lei stessa. Aveva fiuto, con lei lavorarono figurinisti eccezionali, come Chino Bert, Maurizio Monteverdi, Alberto Lattuada, l’indimenticabile Brunetta». Nel 1943, decise di affiancare al pellame la sartoria, e nel 1944, in una Milano sventrata dalle bombe, si rimboccò le maniche e trasferì la sede in via Montenapoleone 8, dove avviò la produzione di Haute Couture. «Quando decido una cosa, la faccio subito. Per me non esiste la parola domani», era il suo motto. Il successo fu repentino. E strepitoso. Jole era bravissima, elegante, mai volgare, «perbenista» nel senso più aristocratico della parola. Pensava abiti che si adattavano alle diverse occasioni, tessuti sportivi come il tweed e il pied-de-poule per il giorno, crinoline e tagli a sirena, tulle, chiffon, mikado e colori voluttuosi per la sera. Le sue fan li ritroveranno indossati dai manichini della Villa di via Mozart. Le signore giocano a carte in gonna e camicetta, provano piccoli tailleur per lo shopping in corso Venezia, controllano negli specchi delle camere al primo piano che l’impermeabile bianco, con cappello abbinato, un must della linea Veneziani Sport lanciato nel 1951, le renda misteriose come Laureen Bacall.
La sua fortuna coincide con gli anni del miracolo economico. Ma forse c’è di più. L’empatia di Jole, la sua carica umana. Ricorda La giornalista Adriana Mulassamo: «Aveva una bellissima casa a Portofino e ogni volta che c’incontravamo là, dove anch’io passavo l’estate, mi diceva in milanese: "Tusetta, vieni su a prendere un tè così il Colonnello (ndr. suo marito il Colonnello Renzo Aragone, ufficiale del Savoia Cavalleria) si lustra gli occhi...», e poi giù una delle sue belle risate. Adorabile Jole!».