Dino Messina, Corriere della Sera 4/10/2013, 4 ottobre 2013
L’EX COLONIA RIMASTA NEL CUORE DEGLI ITALIANI
«Oggigiorno — sintetizzava l’inviato del Corriere Max David in una corrispondenza del 24 ottobre 1962 — vi sono in Eritrea sessantaquattro aziende o imprese, o fabbriche italiane (o quasi italiane) a carattere veramente industriale e v’è un centinaio di aziende minori: i panifici, le autorimesse, le officine meccaniche, le salumerie le mercerie e le botteghe artigianali». Erano passati 21 anni dal 1941, anno che segna la sconfitta con gli inglesi e vede l’inizio delle difficoltà per i circa centomila italiani presenti nel Paese. Per la maggior parte di loro cominciò un doloroso ritorno a casa, ma nonostante la diminuita presenza, l’Eritrea (il nome che significa rosso venne suggerito dallo scrittore Carlo Dossi al presidente del Consiglio Francesco Crispi) rimase un luogo d’elezione nel cuore di molti italiani più che una ex colonia. Un territorio a ridosso del Mar Rosso sul quale prima arrivarono i mercanti e le compagnie navali, quindi dagli anni Novanta dell’Ottocento divenne la «nostra colonia» per antonomasia. Fu dall’Eritrea che nel 1934 cominciò l’avventura fascista dell’Impero dell’Africa Orientale (grazie anche al sostegno di settemila ascari), le sue città, soprattutto la capitale Asmara, ancora portano il segno dell’architettura italiana, i nostri ingegneri costruirono migliaia di chilometri di strade. Nonostante il Paese dopo la guerra fosse divenuto protettorato inglese e in seguito una regione autonoma dell’Etiopia, da cui si affrancò nel 1991, il legame con l’Italia è stato sempre viscerale. I vari fronti di liberazione nazionali negli anni Settanta e Ottanta hanno avuto sedi importanti a Roma e Milano. Da quel Paese, in perenne mobilitazione e retto da un partito unico, ancora si fugge. E noi questa volta non possiamo far finta di niente.