Danilo Mainardi, Corriere della Sera 2/10/2013, 2 ottobre 2013
LA VEGLIA DELL’ELEFANTESSA CHE SCACCIA LA IENA
Prossimo alla morte l’elefante s’era allontanato per finire i suoi giorni in solitudine. Un’elefantessa del suo gruppo ne aveva trovato il cadavere e ora stava accanto a lui, mentre iene e avvoltoi aspettavano di fare il loro macabro lavoro. Lei non smetteva mai di caricarli e ogni volta, dopo averli allontanati, tornava per toccare quel corpo delicatamente con la proboscide. L’ha immortalata così John Chaney, un fotografo dilettante, durante un safari in Botswana. Un evento raro da cogliere, che molto racconta della mente e delle capacità emotive dell’elefante africano.
Di un comportamento quasi identico erano state testimoni due eminenti studiose di questi pachidermi, Cynthia Moss e Joyce Poole. È quest’ultima che lo descrive: «Cynthia ed io andammo fino al limitare del palmeto, da dove potevamo osservare Tonie che vegliava il cadavere del suo piccolo. Intorno si aggiravano quindici avvoltoi e uno sciacallo; lei caricava ed essi si disperdevano per qualche secondo, solo per poi tornare.
Tonie si mise tra loro e il corpicino e, fronteggiandoli, toccava dolcemente colla zampa posteriore quel corpo senza vita. Osservando la sua veglia funebre, per la prima volta avemmo l’impressione fortissima che gli elefanti conoscono il lutto. Mai potrò dimenticare l’espressione degli occhi, della bocca, il portamento delle orecchie, della testa, del corpo. Ogni parte esprimeva dolore».
E così non poteva che essere. Ora lo sappiamo che gli elefanti hanno consapevolezza della propria identità e di quella degli altri, che instaurano coi membri del loro gruppo legami affettivi forti e duraturi e che hanno pure sviluppato una raffinata capacità di manifestare i sentimenti. Sappiamo anche che hanno coscienza della morte altrui ma non della propria. Non sono cioè in grado di produrre quello che per noi umani è un semplice seppure fatale sillogismo, e cioè: se tutti muoiono, anch’io morirò. Ma questa è forse, per le «persone non umane», la più grande fortuna.