Marco Belpoliti, La Stampa 2/10/2013, 2 ottobre 2013
BODONI È GRANDE E STEVE JOBS È IL SUO PROFETA
Sino agli Anni Quaranta del XX secolo il test usato per determinare la leggibilità dei caratteri a stampa era quello dei «battiti di palpebra». Battere le palpebre è il modo con cui i nostri occhi alleviano la stanchezza: meno movimenti, più leggibilità. I risultati migliori ottenuti in «laboratorio» erano raggiunti da tre caratteri: Bembo, Bodoni e Garamond. In una conferenza al London College of Printing, John Biggs, racconta Simon Garfield in Sei proprio il mio tipo (Ponte alle Grazie), presentò questi risultati decretando sperimentalmente la forza dei tre intramontabili font. Se il Cavaliere Giambattista Bodoni potesse tornare tra noi e leggere i risultati del test, sarebbe di sicuro soddisfatto per il successo postumo ottenuto dal suo alacre lavoro, sancito da quel capolavoro che è il Manuale tipografico, pubblicato dalla vedova nel 1818, e nel contempo potrebbe compiacersi di vedere come la sua maestria nel disegno e nella fusione dei caratteri susciti ancora interesse in un mondo in cui la tipografia è tornata di gran moda attraverso lo strumento che usiamo quotidianamente: il computer.
Nell’arco di un decennio la parola font, termine tecnico sconosciuto ai più, è divenuta d’uso comune. Quando ci mettiamo a scrivere sulla tastiera del nostro personal abbiamo la facoltà di decidere quale carattere utilizzare, merito di un giovane americano studente dell’assai poco prestigioso Reed College a Portland nell’Oregon, Steve Jobs. Tra il giovane incisore proveniente dalla provincia piemontese - Bodoni era nato a Saluzzo nel 1740 e migrò a Roma in cerca di fortuna, lontano dal laboratorio paterno - e lo spiantato studente americano, iscritto al corso di calligrafia del suo college, ci sono più punti in comune: costanza, attitudine, colpo d’occhio, intelligenza, sensibilità, capacità di cogliere lo spirito del proprio tempo, successo.
Nelle mostre che si aprono a Parma in questi giorni per celebrare Giambattista Bodoni a duecento anni dalla morte non si coglie solo l’atmosfera di un’epoca, il Settecento, che ha rivoluzionato le nostre idee sul mondo, ma anche la peculiarità di una tradizione italiana del «bello» e dell’«eleganza» raggiunte usando la mano e l’occhio per agire su piccoli parallelepipedi di acciaio detti punzoni. Al mondo esistono oggi oltre centomila font, tuttavia quelli incisi da Bodoni sono presenti o hanno influenzato i sei o sette più usati. Nella sua classica storia della tipografia e dei caratteri, Cinque secoli di stampa (Einaudi), S. H. Steinberg, scrive che Bodoni è stato il solo grande artista grafico italiano, amato e riverito in vita da letterati e stampatori, re e borghesi. Prima di lui, e di John Baskerville, altro famoso disegnatore di caratteri del Settecento, non esisteva l’idea di produrre un bel libro mediante la tipografia: il libro veniva giudicato e apprezzato in base all’opera dell’illustratore e dell’incisore, piuttosto che dal lavoro del compositore e dello stampatore.
Bodoni ha portato queste due tecniche al livello di un’arte mediante una serie di regole presenti nel suo Manuale: regolarità del carattere, nettezza del segno, buon gusto e grazia, nerezza degli inchiostri, e soprattutto la bellezza della pagina affidata alle sole lettere. Il disegnatore piemontese pensa la pagina come un’opera d’arte che suscita in chi guarda il medesimo piacere e gusto che si ha davanti a un’incisione di Raffaello o Poussin. L’occhio apprezza e gode la forma delle lettere, la loro disposizione nella pagina: un quadro concettuale. Come si capisce osservando i materiali e gli oggetti presenti nel Museo parmigiano a lui dedicato, la qualità delle lettere è raggiunta attraverso minime variazioni. Nel Manuale, ricorda Angelo Ciavarella, ci sono 108 pagine di maiuscole tonde e corsive: «I corpi delle lettere sono così impercettibilmente degradanti che ognuno si perde nel successivo e la differenza tra l’uno e l’altro è di appena 2-3 decimi di millimetro».
L’influenza della cultura neoclassica si coglie in questo rapporto tra pagina e carattere. Se fino a un certo punto Bodoni realizza i libri in funzione dei caratteri che ha a disposizione, dopo l’edizione delle Bucoliche comincia a incidere i caratteri tenendo conto dei libri che vuole stampare. La cassetta dei font è per lui come la tavolozza del pittore, così che si stabilisce un rapporto sensibile tra parole, forma e contenuto del volume. L’incisore al servizio dei signori di Parma – grande privilegio e stabilità di lavoro – pensa in termini di bianchi e neri della pagina, una magia che è frutto non solo della sua abile tecnica con il punzone, e con gli altri strumenti del mestiere, ma anche del suo meraviglioso senso delle proporzioni e degli spazi bianchi. Civarella ha notato che nel Manuale è difficile trovare una scala perfettamente omogenea dal corpo 6 al corpo 60, il che mostra come la bellezza estetica non sia il risultato del solo ordine o regolarità, bensì un’invenzione che porta il grafico italiano a rifare i corpi già esistenti, a ridisegnarli.
Rovesciando un detto di William Morris, riferito alla stampa del Seicento, con Bodoni l’artista sconfigge l’ingegnere. Stanley Morison ha sostenuto che la storia della stampa sarebbe in gran parte la storia del frontespizio; con questa invenzione si passa dallo scritto allo stampato, e comincia a esistere il libro come forma a se stante. Inventato nel 1463 in modo inconsapevole da Peter Schöffer, il frontespizio raggiunge il suo culmine nelle aperture di Bodoni. Si resta incantati nel vedere quello di The Castle of Otranto, storia gotica, bestseller inglese del 1791, o il catalogo della Pinturas de Antonio Allegri del 1800 per la Spagna, o ancora il De imitatione Christi del 1793. Il libro è esistito e si è diffuso anche grazie a questo incisore di caratteri, il cui merito principale è di aver trasformato la grafica, attività in apparenza ancillare – oggi tutti leggono, ma quasi nessuno vede la forma delle lettere – in un’arte decisiva del mondo moderno. Bellezza e sapere non sono inseparabili, come l’aspirante calligrafo di San Francisco ha cercato di dimostrare due secoli dopo con la sua serie di alfabeti disponibili a ogni nostro clic: Bodoni in una «tendina».