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 2013  ottobre 02 Mercoledì calendario

PERCHÉ L’IVA NON È IL MALE PEGGIORE


L’aumento dell’Iva non piace a nessuno; ma ragionandoci si può concludere che è un male minore. La priorità che Enrico Letta indicherà oggi in Parlamento, suggerita da esperti di varie tendenze, condivisa da tutte le forze sociali, è invece abbassare le tasse sul lavoro, per ridare competitività alle imprese e mettere un po’ di soldi in tasca a chi ne guadagna di meno.
Occorre scegliere; tutto non si può avere, dato che i conti dello Stato sono di nuovo in difficoltà. Di tagli alle spese siamo ormai troppo avanti nell’anno per farne di nuovi, come il ministro dell’Economia ha dimostrato con cifre; e comunque nessuna delle proposte alternative all’Iva che dai partiti gli erano pervenute conteneva interventi sulla spesa corrente.
La politica discute di fisco anche a Berlino, dove la formazione del nuovo governo dopo le elezioni risulta difficile. Per entrare nel nuovo governo i socialdemocratici chiedono più tasse sui redditi alti, allo scopo di finanziare nuove spese per l’istruzione. Il paradosso è che la Germania, nella visione del Fmi o dell’Ocse, potrebbe benissimo spendere di più senza aumentare le tasse: farebbe bene a sé e agli altri Stati dell’euro.
Insomma i tedeschi sono responsabili all’eccesso, in materia di finanza pubblica; mentre la tendenza italiana all’irresponsabilità preoccupa giustamente i Paesi vicini, perché può far danno anche a loro. Altro che sottrarsi ai vincoli europei: proprio per porre rimedio a simili squilibri, ci vorrebbe più Europa, sotto forma di controllo democratico comune su scelte che nell’euro coinvolgono tutti.
Ma è innanzitutto nell’interesse proprio che l’Italia non può permettersi mosse azzardate; e lo sforzo da compiere non è grande, a paragone dei sacrifici dei due anni passati. Il limite di deficit in cui ora occorre rientrare, 3% rispetto al prodotto lordo, è assai meno severo di quello indicato come traguardo 2013 due anni fa, quando il pericolo di collasso dell’area euro aveva spinto tutti a porsi traguardi di austerità eccessivi.
Rispetto al pareggio di bilancio allora prescritto, ci sono ben 45 miliardi di euro di differenza, ottenuti con aggiustamenti successivi. Grazie all’ultimo ritocco, l’attuale governo ha potuto attuare quella che finora resta la sua misura più efficace, il pagamento di debiti arretrati delle amministrazioni pubbliche verso le imprese. Sono soldi ben spesi; già ne viene un impulso alla ripresa.
L’aumento dell’aliquota Iva, necessario a chiudere con decenza i conti dell’anno, avrà effetti tutt’altro che dirompenti. Contro le esagerazioni interessate, l’economista Francesco Daveri calcola che peserà in media per 114 euro a famiglia in ragione annua, ovvero 31 centesimi al giorno. E poi, non era stato lo stesso Silvio Berlusconi, autore del primo ritocco dopo molti anni, dal 20 al 21%, a ricordare, annunciandolo, che l’aliquota principale Iva «non colpisce i beni di prima necessità»?
Inoltre è bene fare chiarezza sui tagli alle spese. E’ lì che bisogna puntare per il 2014, Fabrizio Saccomanni lo sa per primo. Ma nell’immediato anche i tagli alle spese «stroncano la ripresa» contrariamente a certe illusioni ora tramontate. Per di più, siccome occorre colpire gruppi di interesse agguerriti, capaci di resistere con forza, occorre molta compattezza politica per attuarli.
Almeno, il conflitto politico che sta paralizzando gli Stati Uniti nasce da un vero, grave allargamento delle disuguaglianze sociali: i due partiti ne sono spinti a proporre ricette agli antipodi per una economia comunque vitale. Qui da noi abbiamo una rissa su pretesti di scarsa portata mentre su alcune elementari misure contro il declino non dovrebbe essere difficile trovare un’intesa.