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 2013  ottobre 02 Mercoledì calendario

LE STOFFE ANCESTRALI CHE BEFFANO LA ’NDRANGHETA SEDUCONO PARIGI


Dalla Locride alla settimana della moda parigina. Dai telai di legno allo show room di New York. Conquistando il mondo con le stoffe tessute a mano secondo regole ancestrali delle «maghistre» calabresi, oggi indossate sulle passerelle di tutto il mondo da modelle così magre che possono fare la doccia senza bagnarsi.
Se il mondo è bello perché è vario, l’Italia è ancora più bella perché è pazzesca. E capita che da questo Paese devastato, anzi da una delle sue regioni che lo sono di più, sbuchino storie di successo ottenuto senza barare.
Questa inizia in Calabria dieci anni fa e finisce, per il momento, ieri l’altro all’hôtel de Gallifet, sede dell’Istituto di Cultura Italiano di Parigi diretto da Marina Valensise. Qui, nel palazzo dove Talleyrand tesseva le sue trame, sono state protagoniste altre trame, più modeste ma molto più solide: stoffe pazientemente realizzate a mano, in arrivo direttamente dal passato remoto, realizzate come nella notte dei tempi, forse come faceva Penelope. Del resto, appeso a una parete c’è un arazzo di stoffa di ginestra tessuto con questa tecnica: ha 150 anni e non una piega.
Il marchio si chiama Cangiari («cambiare» in calabrese, e ogni riferimento alla situazione locale è puramente voluto), è il primo marchio di «moda eco-etica» di fascia alta italiano e ha presentato a Parigi la sua ultima collezione, disegnata da Paulo Melim Andersson, già nel team di Martin Margiela, poi direttore creativo di Chloé e «design director» di Marni. Spiega tutto Vincenzo Linarello, presidente del gruppo cooperativo cui appartiene Cangiari (e altre undici imprese sociali), uno di quegli italiani, ce ne sono evidentemente ancora, che non solo credono in quello che dicono, ma lo realizzano pure.
«Siamo nati dieci anni fa nella Locride, dove la disoccupazione giovanile è al 75% e comanda la ‘ndrangheta holding. L’idea era di fare iniziative non solo funzionanti ma anche, come dire?, simbolicamente dirompenti. Come una cooperativa di turismo responsabile o una di agricoltura bio». E la moda etica. Ma che vuol dire? «Vuol dire che facciamo lavorare solo imprese sociali, che tutte le collezioni sono realizzate con filati e tessuti ecologici, che il marchio è collettivo, cioè ogni tessitrice ne è proprietaria. E che abbiamo salvato la tessitura a mano che altrimenti sarebbe sparita».
E qui siamo alla storia nella storia. Le tessitrici, un po’ maghe dell’artigianato, un po’ maghe tout court, appunto «maghistre», erano poche, una o due per villaggio, depositarie di tecniche che, fra disaffezioni ed emigrazioni, sembravano inevitabilmente condannate a scomparire. «Non è successo perché le giovani della cooperativa hanno deciso che non doveva succedere. Hanno convinto le ultime “maghistre”. Però queste, per lo più analfabete, avevano memorizzato le combinazioni dei fili nelle loro nenie, come farebbe un programmatore nel suo computer. Le giovani si sono armate di registratore, hanno inciso decine di nenie in calabrese stretto, le hanno interpretate. Poi hanno costruito i telai su modelli vecchi di secoli e hanno iniziato a filare come facevano le loro nonne e le nonne delle loro nonne».
Un lavoraccio. Per un metro di stoffa largo 70 centimetri ci vogliono dalle tre alle sei ore. «Però queste stoffe hanno il pregio di avere dei difetti». Prego? «Sì, non hanno l’anonima regolarità della stoffa artigianale. Hanno un’anima. E durano per sempre, come doveva durare per sempre il corredo di chi andava sposa». Così, è stato subito boom. Il gruppo ha aperto uno showroom a Milano per l’Italia, uno a New York per gli Usa, uno a Parigi per l’Europa e adesso punta al mercato asiatico. I prodotti sono cari ma non troppo. «Un vestito? Diciamo dai 300-350 euro ai duemila».
Insomma, la scommessa sembrava folle e invece la stanno vincendo. «Siamo ancora piccoli - dice Linarello -. Il gruppo ha un centinaio di lavoratori e vale circa 5 milioni. Ma nella Locride siamo una delle prime imprese private. E per il territorio siamo importanti, perché siamo un’alternativa alla ‘ndrangheta. Vede, l’etica non può più accontentarsi di essere solo giusta, dev’essere efficace. La ‘ndrangheta va delegittimata facendo vedere a tutti che l’onestà rende di più».
Poi, il solito discorso della globalizzazione. Non si può stare fermi a subirla, bisogna sfruttarla. Spiega Linarello: «Noi italiani, anzi noi europei realizziamo cose che regaliamo al mondo. I cinesi possono copiare le nostre stoffe, magari anche copiarle bene e certamente venderle a prezzi molto più concorrenziali. Quello che non possono copiare è la storia che c’è dietro, quella è solo nostra. Ma bisogna capirla, salvarla e rilanciarla. Come abbiamo fatto noi».
Tutto bene, dunque? Sì. Però provate un po’ a indovinare chi, in questa storia, non ha fatto la sua parte. In Francia, ma forse ovunque in Europa, a un’iniziativa del genere i pubblici poteri avrebbero steso il tappeto rosso. E a lei, Linarello? «Beh, dal pubblico tutto quello che ho ottenuto è, diciamo così, un’ammirata indifferenza». Come volevasi dimostrare.