Gianna Milano, La Stampa - Tutto Scienze 2/10/2013, 2 ottobre 2013
“LA MORALE? IMPARIAMOLA DA BONOBO E SCIMPANZÈ”
Gli scimpanzé vivono sotto la finestra del suo ufficio. E da oltre 20 anni, alla scrivania al Centro di ricerca sui primati Yerkes di Atlanta, Frans de Waal, uno dei maggiori primatologi al mondo, osserva il comportamento di questi nostri parenti più prossimi nell’albero evolutivo. All’attuale maschio alfa, Socko, uno scimpanzé, e alla femmina alfa, Georgia, faceva il solletico quando erano piccoli e ridevano perché continuasse. «Considerano me e il mio ufficio parte del loro territorio e le persone che vengono a trovarmi non sempre sono gradite: lo fanno capire con gesti come lanciare manciate di fango», dice lo studioso olandese, autore del saggio «Il bonobo e l’ateo: in cerca di umanità fra i primati» (Raffaello Cortina).
Dall’osservazione di questi «cugini» genetici lo studioso ha dedotto che «non c’è bisogno di essere uomini per essere umani». Empatia, altruismo, tenerezza e perfino desiderio di equità e senso morale - come la capacità di distinguere tra ciò che è «giusto» e «sbagliato» e quindi gran parte delle nostre qualità positive - non sono prerogativa esclusiva dell’uomo, ma affondano le radici nel mondo animale. Al punto che si addentra ad analizzare le connessioni tra legge morale e religioni, «che non hanno la funzione di produrla, ma di farle da supporto».
Professore, lei sostiene che i nostri antenati avrebbero sviluppato comportamenti «morali» in modo naturale: com’è stato possibile?
«La moralità non è un’innovazione umana, come ci piacerebbe pensare. Alla base della nostra etica ci sono compassione, empatia e consapevolezza dell’altro. Se non si prova tutto questo, è difficile avere senso morale. E poi? C’è la reciprocità dei gesti che significa equità, ossia ricambiare chi fa una cosa buona o giusta per noi, ed essere riconoscenti. Lo si può chiamare senso di giustizia. Anche nei primati tutto questo esiste, ma loro non sono morali nel modo in cui lo siamo noi. Non elaborano “norme”, ma si dimostrano sensibili alle emozioni dei consimili, tanto che spesso si offrono di aiutarli».
Per esempio?
«La femmina Washoe, il primo scimpanzé ad aver imparato il linguaggio dei segni, sentì gridare un’altra femmina che conosceva appena e rischiava di affogare. Washoe superò due recinzioni elettriche, la raggiunse e la trasse in salvo. L’adozione di un piccolo non imparentato, poi, non è ignota tra gli scimpanzé».
Che cosa ci dimostra il confronto tra noi e loro?
«Che la moralità umana non si è sviluppata da zero. E che esistono analogie. Quando parlo di senso morale dell’uomo, intendo dire che abbiamo la tendenza a giudicare noi stessi e gli altri in base a comportamenti buoni o cattivi, ma ciò non significa che agiamo sempre in modo morale, e lo stesso vale per loro. Altruismo, empatia e tenerezza convivono con violenza, crudeltà e intolleranza. Quali di queste tendenze emerge dipende dalle circostanze. Tra i bonobo, il senso della comunità si riflette nei tentativi di ripristinare l’armonia, magari dopo un conflitto, ricorrendo al sesso. Se noi umani abbiamo sentito il bisogno di elaborare norme etiche, è perché non siamo perfettamente morali. Anzi».
Lei si professa ateo, ma ammette di avere per le religioni la curiosità dello scienziato. Quale ruolo attribuisce loro?
«Non sono dell’avviso che la religione debba essere vista in modo negativo. Se gli esseri umani l’hanno sviluppata, io - come biologo - dico che devono avere un ruolo positivo e costruttivo. Non sono dogmaticamente contro la religione, ma curioso verso il ruolo che ha nelle società. Non accetto, ovviamente, il dogmatismo di certi credenti che negano la teoria dell’evoluzione, proprio come ritengo che la scienza non possa diventare la nuova religione».
Qual è la funzione che attribuisce alla religione?
«L’etica si è evoluta partendo da forme embrionali di socialità, da modi di sentire e di agire già presenti a vari livelli nei mammiferi, e ha contribuito alla sopravvivenza di tutti e del singolo. Lo sviluppo delle religioni, invece, è relativamente recente: sono successive alla rivoluzione agricola del Neolitico, all’incirca 10 mila anni fa».
Lei sembra screditare il fondamentalismo darwiniano secondo il quale le nostre azioni, buone o cattive, siano dettate dai geni.
«L’evoluzione ha sviluppato le capacità fisiche e psicologiche, come prendersi cura degli altri, ma anche la capacità di uccidere: spetta poi all’individuo decidere. E non è la biologia a determinare quale decisione si prenderà. Faccio parte di quei biologi che non accettano gli scenari secondo l’evoluzione è avvenuta sotto la guida dei geni, quelli che Richard Dawkins definisce “egoisti”. Sono soltanto “pezzi” di Dna che non sanno niente e che non si propongono niente. Non siamo nati per obbedire ai geni».