Maurizio Molinari, La Stampa 2/10/2013, 2 ottobre 2013
LA STATUA DELLA LIBERTÀ È UN MIRAGGIO NEW YORK RINUNCIA ANCHE AI SIMBOLI
Un’altra crociera nella baia o il rimborso del biglietto?». Giacca blu e sorriso obbligato sul volto, la ventenne Ayana è la dipendente di «New York Cruises» che accoglie i turisti sul molo di Battery Park offrendo le alternative disponibili all’impossibilità di visitare Ellis Island e la Statua della Libertà.
«È dura, i turisti non sanno nulla dello shutdown e ci rimangono male quando gli diciamo che la loro crociera è annullata» ci dice, ammettendo che «sono qui dalle 7 del mattino e me ne hanno dette di tutti i colori». I turisti sono stati i primi a saggiare l’impatto della serrata governativa a New York. «Non ho avuto alternative perché riparto domani - spiega Marc, un ragazzo francese, con tono scontento - sono andato su un’altra crociera ma mi hanno portato al largo, non abbiamo visto niente di interessante e nessuno ci ha detto perché la Statua della Libertà era diventata inaccessibile».
Fra i drappelli di turisti scontenti che si allontanano dal molo sulla baia dell’Hudson c’è chi ripiega sul vicino American-Indian Museum nella sede della Custom House intitolata ad Alexander Hamilton, uno dei padri della nazione, ma l’amarezza non fa che aumentare perché a metà della scalinata all’entrata campeggia un grande cartello bianco: «Ci dispiace, siamo chiusi a causa dello shutdown». È un museo della catena Smithsonian, è gestita dal governo e dunque tutti i dipendenti sono in congedo forzato, proprio come quelli degli zoo di Central Park e del Bronx, altrettanto chiusi.
Per gli studenti di un corso di Storia della New York University la scelta naturale e di sedersi sulla scalinata e farsi spiegare seduta stante dal docente tanto l’eredità dei nativi che l’impasse legislativa che ha generato lo shutdown. Ma i dipendenti congedati hanno tutt’altro stato d’animo. Per accorgersene basta arrivare sulla poco lontana Federal Plaza, davanti all’edificio governativo sede dei servizi sull’Immigrazione, dove a decine sostano a braccia conserte. «Siamo arrivati qui come ogni giorno ma anziché farci entrare - racconta Habib Soltani, ingegnere civile, 50 anni - ci hanno detto che eravamo stati messi in congedo a tempo indeterminato».
In concreto significa non ricevere lo stipendio fino a quando al Congresso di Washington si raggiungerà l’accordo sul finanziamento del governo. «Ci sono già passato nel 1995 - ricorda Soltani - ed è una disgrazia perché i debiti si sommano e non potendo pagare gli interessi aumentano, allora ci rimisi 5000 dollari e ne patii le conseguenze per molti anni successivi». Il problema nasce dal fatto che le famiglie americane vivono in gran parte con bilanci settimanali, fanno conto sulla copertura delle carte di credito e l’impossibilità di pagare almeno in parte i debiti accumulati fa lievitare l’ammontare dovuto.
Attorno a Soltani si crea un capannello di congedati, uomini e donne fra i 40 e 50 anni, parlano sovrapponendosi gli uni alle altre: «È tutta colpa dei repubblicani», «ci vogliono affamare», «andranno avanti troppo a lungo per le nostre tasche», «loro litigano e noi rimaniamo senza soldi». A guardarli da breve distanza sono gli agenti della sicurezza, anch’essi dipendenti federali ma evitano il congedo forzato grazie ai decreti d’urgenza firmati dal presidente Barack Obama per le forze di sicurezza. La distanza di pochi metri fra gli agenti salvati e i congedati sommersi sembra un abisso. Tantopiù che questi ultimi devono rinunciare anche al Blackberry: i cellulari di servizio hanno smesso di funzionare dallo scoccare della mezzanotte, appartengono alle spese che lo shutdown ha immediatamente azzerato.
L’unico angolo di Downtown Manhattan dove si respira un’aria diversa è Wall Street. Davanti all’entrata della Borsa broker e operatori finanziari si alternano tradendo sollievo per il disastro scampato sui mercati: gli indici non sono crollati come alcuni temevano. Anche se per Dotan, broker 35enne, «è meglio essere prudenti perché dietro l’angolo potrebbe esserci il default e allora sarebbe davvero il diluvio». Ai grandi network accampati su Broad Street non resta che raccontare in diretta la prima giornata dello shutdown a New York: «Puniti turisti, panda e congedati ma per tutti gli altri è una giornata come tante altre».