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 2013  ottobre 02 Mercoledì calendario

UN CASO BARILLA ANCHE NEGLI USA


Quanto è convenuto in termini di immagine, alla Barilla, produrre il video di scuse per l’intervista che chiudeva alla pubblicità gay?
Prima, su Facebook, la pagina dedicata alla pasta Barilla risultava aver registrato novemila «Mi Piace» in più, mentre Boicotta-Barilla stenta tuttora a raggiungerne 1.600. Dopo la ritrattazione, cui sono seguite montagne di rilanci e parodie, sulle pagine dedicate a Barilla campeggiano invece, mescolate ai commenti indignati dei gay e dei loro supporter, i commenti delusi dei supporter della famiglia costituzionale, pure loro adesso indignati.
Una risposta si può trovare in un caso parallelo avvenuto negli Usa, dove nel giugno 2012 Dan Cathy, ceo della catena di fast food Chick-Fil-A, che conta oltre 1.700 punti di ristoro sparsi per 38 dei 50 stati Usa, aveva fatto delle dichiarazioni decisamente più forti di Barilla, dicendo fra l’altro che coloro che «hanno la temerarietà di ridefinire il matrimonio» avrebbero «attirato il giudizio di Dio sul nostro Paese».

Di fronte al conseguente putiferio politico e mediatico, l’azienda disse che le parole di Cathy erano state «equivocate», che avevano rispetto per tutti e che avrebbero continuato a sostenere «programmi che educano i giovani, rafforzano le famiglie, arricchiscono i matrimoni e sostengono le comunità», ma avrebbero evitato di sponsorizzare «organizzazioni con un intento politico».
I commenti ribaditi di Cathy, uniti al sostegno economico di Chick-Fil-A a gruppi cristiani che si oppongono alle nozze gay, scatenarono clamore e un boicottaggio immediato.

Jeff Bezos, della Amazon, donò milioni di dollari a una campagna per «legalizzare il matrimonio gay» nello stato di Washington, mentre i sostenitori del matrimonio etero lanciarono un movimento di appoggio all’azienda su Facebook che raccolse 600 mila adesioni. La disfida si svolse in differita fra il 1 e il 3 agosto: il primo, lanciato come «Chick-fil-A Appreciation Day», vide le vendite della catena schizzare in alto del 29,9 per cento; il tre, i contestatori organizzarono un «kiss day» omosessuale davanti ai ristoranti, chiedendo ai sostenitori la devoluzione del costo di un pasto Chick-Fil-A (nome che sta per «filetto di pollo», dove Fil-A si pronuncia «filei», dall’americanizzazione del francese «filet») ai gruppi di attivismo pro-gay, un dato ovviamente non misurabile.

A distanza di mesi l’Huffington Post informava che gli affari di Chick-Fil-A stavano andando a gonfie vele. Citando uno studio riportato dal più diffuso quotidiano americano Usa Today, della Sandelman & Associates, il giornale riferiva che nel terzo trimestre 2012 i clienti erano aumentati del 2,2 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno prima, e un sondaggio condotto fra 30 mila consumatori di fast-food confermava che lo share di mercato era aumentato dello 0,6 percento, mentre la visibilità in generale della catena era aumentata di un buon 6,5 percento.
Di fronte a questo successo, che contraddice anche le previsioni di Business Insider secondo cui la Chick-fil-A era destinata a subire «danni permanenti al suo brand», gli esperti contattati dal Huffington Post si sono dichiarati «esterrefatti», poiché la catena, a loro avviso, aveva combinato «un disastro di Pr» e costituiva un caso paradigmatico di cosa non bisogna fare in caso di crisi d’immagine».