Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  ottobre 02 Mercoledì calendario

SE SI FERMA L’AMERICA


L’intera nazione, l’economia americana, sono in ostaggio. Una sola fazione di un solo partito, in un solo ramo del Congresso, ci sta ricattando». Barack Obama affronta il primo giorno della “serrata di Stato” determinato a dare battaglia. «Non siete degni di questo paese», lancia alla minoranza repubblicana che bloccando le leggi di bilancio ha reso ineluttabile la sospensione di alcuni servizi pubblici. Alla Casa Bianca descrivono un presidente che sembra in assetto da campagna elettorale. E gongolante, in cuor suo. Obama è convinto che sono i repubblicani ad aver fatto un clamoroso autogol, e ora vuole sfruttare la situazione. Si presenta per il secondo giorno consecutivo davanti alle telecamere: lo “shutdown” gli dà anche il pretesto per invadere gli schermi.

Va in tv fiancheggiato da semplici cittadini, scelti come un campione rappresentativo di coloro che vengono beneficiati dalla sua riforma sanitaria. La scelta è significativa: è proprio Obama-care, come la destra ha etichettato il nuovo sistema sanitario, il bersaglio dell’offensiva repubblicana. Prima hanno chiesto di abrogare in toto la legge, poi di rinviarla, poi hanno di svuotarla di risorse: è questo il ricatto cui allude Obama. La destra «sta combattendo un’altra volta la campagna elettorale che ha già perso », dice il presidente. In effetti un pezzo del partito repubblicano, l’ala più oltranzista, ha deciso di legare la propria sorte a una battaglia di vita o di morte contro Obama-care.
La riforma che deve estendere l’assistenza ai 34 milioni di cittadini che ne sono sprovvisti, fu osteggiata dal Tea Party e portò quel movimento anti-Stato al trionfo dell’autunno 2010: nelle elezioni legislative di mid-term, quell’anno i democratici presero una batosta e tra i neo-eletti repubblicani figurava una nuova generazione di estremisti. Ma sono passati tre anni da allora. La riforma sanitaria continua a essere abbastanza misteriosa e vagamente inquietante per una maggioranza di americani, anche perché finora non è entrata in vigore. Solo ieri mattina ha cominciato a funzionare lo shopping online per le nuove polizze assicurative. Com’era prevedibile, ci sono stati disagi e inefficienze. «Ci furono anche al lancio del primo iPhone, questo non ha impedito il suo successo... », commenta ironico Obama. Di qui la sua scelta di andare in tv circondato da famiglie di lavoratori che saranno beneficiate dalla sua riforma.
Su Obama-care il giudizio dell’opinione pubblica è destinato a evolversi, via via che si potrà sperimentare come funziona davvero. Ma una maggioranza di americani già oggi non ha dubbi: non capisce cosa c’entri la “serrata di Stato”. La Casa Bianca ha il gioco facile nel descrivere la manovra repubblicana come un ricatto: niente fondi alla pubblica amministrazione finché il presidente e il suo partito non cedono sulla sanità. E’ qui che Obama affonda la sua offensiva. «Già una volta successe una simile paralisi, nel 1996 contro Bill Clinton, ma allora l’America non usciva da una tremenda recessione». Oggi, costretto a lasciare a casa senza stipendio circa 800.000 dipendenti federali, Obama mette alla gogna i repubblicani della Camera perché infliggono una ferita alla ripresa economica.
I disagi finora sono contenuti, ma non possono che peggiorare, anche se per adessi i mercati tirano il fiato e Wall Street ieri è perfino salita, perché questo shutdown non ha le fattezze di un’Apocalisse. Potrebbe accadere di peggio il 17 ottobre, scadenza annunciata per un vero e proprio default del Tesoro. Ma da qui a là, è la scommessa di Wall Street, le divisioni in seno al partito repubblicano potrebbero aumentare, fino al prevalere del vecchio establishment moderato-conservatore, che giudica questo braccio di ferro un errore marchiano.
Alcuni repubblicani stanno già manovrando per togliersi dall’impiccio. Nel massimo imbarazzo c’è John Boehner, il presidente della Camera. E’ per sua natura un moderato, ma è finito a sua volta ostaggio dei giovani colonnelli del Tea Party.
Quello che sta accadendo conferma un imbarbarimento della politica americana. Dietro la quasi impossibilità di raggiungere compromessi bi-partisan, c’è una spiegazione strutturale. Il partito repubblicano da molti anni si è spostato su posizioni così estreme, da essersi alienato in maniera quasi permanente intere fasce di elettorato: ha perso consensi tra giovani e donne, ha visto tutte le minoranze etniche (non solo i neri ma anche ispanici e asiatici) votare al 70% per la rielezione di Obama nel novembre 2012. La reazione però è stata quella di “blindare” i propri collegi elettorali. Sfruttando le legislazioni dei singoli Stati, la destra ha aumentato gli ostacoli per la partecipazione al voto di minoranze etniche (per esempio in Texas). Ha “ridisegnato” le circoscrizioni in modo da garantirsi senatori e deputati anche a prescindere dagli spostamenti del voto popolare. Ma anche nei loro collegi elettorali, alcuni repubblicani ieri cominciavano a percepire malumore. Tra gli argomenti di Obama che fanno presa a destra: «Perché lasciate a casa senza salario tanti servitori dello Stato, ma a voi stessi continuate a versare lo stipendio?».