Jeffrey Gettleman; Nicholas Kulish, la Repubblica 2/10/2013, 2 ottobre 2013
SANGUE E AVORIO, I BRACCONIERI DEL TERRORE COSÌ AL SHABAAB S’ARRICCHISCE SUGLI ELEFANTI
Bracconaggio, rapimenti, riscatti estorti con atti di pirateria, contrabbando del carbone, pagamenti imposti alle organizzazioni umanitarie e persino finte raccolte di denaro “da destinare ai poveri” — il gruppo militante degli Shabaab è passato da un’attività illecita all’altra, ottenendo dalla malavita dell’Africa occidentale i fondi con cui finanziare attentati come il recente mortale assedio del centro commerciale di Nairobi.
Malgrado i tentativi di bloccare le sue fonti di finanziamento, il gruppo continua a controllare alcune redditizie rotte del contrabbando nella Somalia meridionale, a estorcere a imprese somale denaro in cambio di protezione e a ricevere centinaia di migliaia di dollari dall’estero. Gli Shabaab dispongono di una squadra di contabili, militanti in giacca e cravatta, che hanno escogitato e imposto dei complessi schemi di tassazione in Somalia: 500 dollari l’anno per fattoria, due dollari per ogni sacco di riso che attraversa i loro posti di controllo. «Calcolano il tuo reddito, tirano le somme», dice Mohamed Aden, ex presidente di Himan e Heeb, regione parzialmente autonoma della Somalia centrale, non lontana dal territorio degli Shabaab. «E devi obbedire, altrimenti ti fanno fuori».
Sino a quando vaste zone della Somalia rimarranno in balia della violenza, gli Shabaab avranno molte opportunità per arricchirsi. Per cavalcare la domanda cinese di avorio, il gruppo ha addestrato combattenti a spingersi oltre il confine con il Kenya e uccidere gli elefanti. I combattenti hanno anche imposto quote d’accesso ai gruppi umanitari, raccogliendo in molti casi decine di migliaia di dollari in cambio del permesso di distribuire aiuti all’interno dei loro territori.
Oltre alle attività di finanziamento illecito, il gruppo si è dimostrato abile nel sottrarre alle organizzazioni benefiche musulmane denaro destinato alla costruzione di nuove moschee e scuole. Gli Shabaab sono anche abili uomini d’affari. Dopo che il gruppo occupò il porto di Kismayo, nella Somalia del Sud, alcuni rivenditori di automobili di città anche lontane, come Mogadiscio, preferirono importare da lì i loro veicoli anziché servirsi del principale porto pubblico affermando che gli Shabaab gestivano l’attività con maggiore cura e a costi inferiori. Malgrado le forze dell’Unione Africana abbiano in seguito cacciato il gruppo da Kismayo, i combattenti continuano a controllare l’hinterland che lo circonda e a imporre tasse su beni quali t-shirt, zucchero e sapone.
Il perenne caos in cui versa la Somalia rende i tentativi di debellare le propaggini degli Shabaab ancora più ardui. La Somalia ha una lunga tradizione di anarchia — il governo centrale è imploso nel 1991 — e rappresenta un terreno ideale per coloro che si arricchiscono grazie alle guerre. I militanti estorcono il “pizzo”, rapiscono cooperanti occidentali lungo il confine con il Kenya, cospirano con i pirati che infestano l’Oceano Indiano per poi rifugiarsi nelle loro roccaforti senza temere di essere arrestati o perseguiti perché in Somalia la legge è praticamente inesistente.
La trasformazione del gruppo da movimento di guerriglia che un tempo poteva contare su un nutrito esercito di giovani soldati (Shabaab in arabo significa “gioventù”) a organizzazione terroristica più agile e mobile si è tradotta in una riduzione dei costi operativi. Secondo Jonathan Schanzer, vicepresidente del settore ricerca della Fondazione per la difesa delle democrazie, l’attentato di Nairobi sarà costato al gruppo «quasi 100mila dollari», calcolando il prezzo per fucili automatici, proiettili, granate, oltre ai costi di addestramento e forse l’affitto di uno spazio all’interno del mall che si sospetta possa essere stato usato come deposito di armi nei giorni precedenti all’attentato.
Molti analisti sostenevano che Nairobi sarebbe stata risparmiata, in quanto importante snodo logistico dell’organizzazione (l’enclave somala di Eastleigh è invece la sua capitale finanziaria). «È lì che si trovano le agenzie di transazione di denaro», spiega Ken Menkhaus, professore di Scienze politiche presso il Davidson College. «È lì che si possono fare affari senza dare nell’occhio». Secondo Menkhaus, Eastleigh funge anche da centro di reclutamento e raccolta fondi.
Quasi tutte le istituzioni somale, comprese le banche, sono crollate sotto il peso di vent’anni di anarchia. La situazione ha favorito l’insorgere di attività di trasferimento di fondi scarsamente controllate. Le autorità occidentali hanno tentato di evitare che il flusso di denaro (si stima ammonti a 1,3 miliardi di dollari) che ogni anno giunge in Somalia, proveniente spesso da piccoli negozi di Londra o Minneapolis, raggiunga i gruppi militanti, senza però penalizzare i somali la cui sopravvivenza dipende da quelle rimesse. A maggio, due donne somale del Minnesota, naturalizzate americane, sono state condannate per aver fornito sostegno agli Shabaab grazie a una raccolta porta a porta di denaro destinato al gruppo, fingendo che le donazioni fossero destinate ai poveri. Una squadra di investigatori delle Nazioni Unite ha fatto sapere che alcuni uomini d’affari somali residenti in Qatar hanno raccolto e spedito fondi a una squadra di sicari per finanziare “un’ondata di assassinii” attraverso un’agenzia di trasferimento denaro.
Tuttavia, nulla forse ha fruttato agli Shabaab più denaro del commercio clandestino di carbone. Noto come “oro nero”, il carbone ricavato dalle acacie somale è molto ambito nella penisola araba. Prima che le forze keniote riprendessero Kismayo, il commercio del carbone fruttava agli Shabaab più di 25 milioni di dollari l’anno. La perdita di Kismayo ha rappresentato un grave colpo per il gruppo e lo scorso anno il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha approvato una risoluzione che vieta l’importazione di carbone somalo. Per tutta riposta, gli Shabaab hanno trasferito il commercio ad altri porti che rimangono sotto il loro controllo, continuando a esportare. «Hanno meno denaro, ma non gliene serve molto», afferma Menkhaus. «Anche con poco denaro è possibile compiere danni gravissimi».
(© 2013 New York Times News Service Traduzione di Marzia Porta)