Paolo Rodari, la Repubblica 2/10/2013, 2 ottobre 2013
SE SI RIDUCE A UNA CORTE IL VATICANO È UNA LEBBRA ORA FINALMENTE È CHIARO
Walter Kasper, 80 anni, il più anziano cardinale presente all’ultimo conclave, prestigioso elettore di Jorge Mario Bergoglio, per diciotto anni capo del ministero vaticano che si occupa d’ecumenismo — uno dei pochi in grado di tenere testa a Joseph Ratzinger sul suo terreno, quello dell’alta teologia — si dichiara contento del colloquio che Francesco ha avuto con Eugenio Scalfari.
«Non solo contento, direi contentissimo».
Perché, eminenza?
«Anzitutto per certi contenuti che sono usciti dal dialogo, e fra questi il passaggio sulla “corte che è la lebbra del papato”».
«I capi della Chiesa spesso sono stati narcisi, lusingati e malamente eccitati dai loro cortigiani. La corte è la lebbra del papato », ha detto Francesco a Scalfari. Parole durissime.
«Sì, ma molto vere. Anche io nel mio piccolo ho sempre sostenuto il medesimo concetto. Ed è un sollievo che ne parli anche lui così liberamente. Il Vaticano è rimasto in alcune sue parti una corte, ma essere corte non corrisponde per nulla non solo al nostro tempo, ma anche, direi soprattutto, all’essere Chiesa nel senso della Bibbia, della Scrittura, dei Vangeli. La corte, con tutto quello che essa comporta, non è la Chiesa. È un’altra cosa».
«La Chiesa non si occupa di politica», dice Francesco. Condivide questa linea?
«Certo. La Chiesa non deve mai, per nessun motivo, fare la politica dei partiti. Non deve mai entrare in un campo che non è il suo. Non è il suo terreno, la politica, non è il suo compito. Piuttosto la Chiesa deve essere costruttrice della pace e richiamare tutti gli uomini a questa vocazione universale».
Scalfari dice di essere un non credente che non cerca Dio, seppure affascinato dalla figura di Gesù di Nazareth. Si aspettava un dialogo del Papa con lui?
«Immaginavo che avrebbe cercato il dialogo con tutti, anche con chi non crede, questo sì. È un dialogo importante a mio avviso perché non ci può essere pace nel mondo senza questo dialogo. Non è sufficiente che la Chiesa parli e si confronti con le altre religioni e i loro leader. Il dialogo deve esserci anche, io direi soprattutto, con coloro che non credono, con gli atei, financo con gli indifferenti. Siamo tutti essere umani e dobbiamo collaborare senza chiuderci».
Vede discontinuità fra questo pontificato e i precedenti, fra Francesco, Benedetto XVI e Giovanni Paolo II?
«L’intervista di ieri del Papa conferma un percorso di avvicinamento a chi non crede iniziato da molto lontano. Anche Karol Wojtyla e Joseph Ratzinger cercavano questo confronto. Seppure mi sembra che questo Papa stia dando una spinta nuova, che io chiamerei evangelica, prettamente evangelica. E poi ha portato l’aria fresca dell’emisfero Sud. Ognuno porta qualcosa di diverso. Ogni Papa non è uguale all’altro. Ci sono sempre segnali di continuità e, soprattutto nello stile, di discontinuità ».