Andrea Riccardi, Corriere della Sera 2/10/2013, 2 ottobre 2013
IL PAPA NON VUOLE ESSERE PIÙ MONARCA
Papa Francesco ha fatto dell’incontro uno dei tratti decisivi della sua esistenza. Non dosa le sue esposizioni. Ha scritto una lettera a Eugenio Scalfari e, qualche giorno dopo, gli ha telefonato invitandolo da lui. Gli faceva piacere vederlo. Ne è nata una conversazione di grande rilievo, pubblicata ieri su la Repubblica. Scalfari è un interlocutore particolare, un laico pensoso, conoscitore della storia e dei problemi del Cristianesimo. Quando Bergoglio inizia un dialogo, vuole continuarlo. Dice a Scalfari: «A me capita che dopo un incontro ho voglia di farne un altro perché nascono nuove idee e si scoprono nuovi bisogni». Quale Papa si presenta a Scalfari nella semplice saletta di Santa Marta?
Francesco si presenta come un cristiano e come un vescovo. L’Annuario Pontificio dedicava una pagina intera ai titoli papali. Nell’ultima edizione, Bergoglio li ha fatti scivolare tutti dietro la pagina, eccetto uno. Oggi, al nome di Francesco si accompagna da solo il titolo di «Vescovo di Roma». Così si sente. Ha spogliato il Papato dell’aspetto del monarca che lo accompagnava da un millennio e più.
Papa Bergoglio ha operato una svolta. Forse ricorda la critica che San Bernardo di Chiaravalle rivolse a papa Eugenio III nel XII secolo: «Tu sembri essere succeduto non a Pietro ma a Costantino». Francesco ha detto a Scalfari con decisione: «La corte è la lebbra del Papato». Infatti non ama il seguito ecclesiastico dietro a lui. Non è populismo esibito. Non si sente sovrano. Vuole evitare il narcisismo del capo: «I Capi della Chiesa spesso sono stati narcisi, lusingati e malamente eccitati dai loro cortigiani» — ha detto a uno Scalfari sorpreso, che controlla se ha ben capito. Un Papa anticuriale, allora? Francesco non giudica il passato con i criteri di oggi. Non si lascia andare a semplificazioni: «In Curia ci sono talvolta cortigiani, ma la Curia nel suo complesso è un’altra cosa». È l’«intendenza» a servizio della Chiesa. Per questo Francesco vuole riformarla. Proprio ieri è cominciata la riunione del consiglio degli otto cardinali: già la sua esistenza è una riforma.
Il cambiamento non sarà soltanto strutturale. C’è una visione da cambiare. La Curia «vede e cura gli interessi del Vaticano, che sono ancora, in gran parte, interessi temporali. Questa visione Vaticano-centrica trascura il mondo che ci circonda. Non condivido questa visione — conclude il Papa — e farò del tutto per cambiarla». La Curia è al servizio del «popolo»: non è uno slogan. Del resto papa Francesco ha stabilito, fin dai primi tempi, un legame di forte simpatia con il «popolo», quasi un’alleanza con la gente. Il Papa non nega certo il valore della gerarchia, ma insiste sul dialogo in una comunità di popolo, ricca e complessa: con il dialogo «non si può sbagliare...». È il rifiuto del clericalismo. A Scalfari che gli diceva come i clericali lo spingessero a diventare anticlericale, il Papa risponde: «Capita anche a me...».
Un Papa anticonformista? Forse lo penserà qualcuno, preoccupato che voglia smontare istituzioni secolari. Perché questa paura? Francesco non è certo un «irresponsabile» (bisogna usare questa parola). Lo si è visto in sei mesi di governo. Ma interpreta il suo ruolo di Papa con creatività, dialogando ma non facendosi condizionare. Prima di tutto si è messo a incontrare la gente così com’è, credente, talvolta credente a modo suo, non credente... Ma assolve fino in fondo le sue responsabilità e prende decisioni. Nell’intervista dice con forza: «Ma sono il Vescovo di Roma e il Papa della cattolicità. Ho deciso...». Francesco farà il Papa in modo diverso. Ma pienamente. È un uomo che, fin da giovane, è stato provinciale dei gesuiti, poi vescovo in Argentina. Sa quel che vuol dire governare e decidere. Ma tutto non è struttura: «Una religione senza mistici è una filosofia». Francesco emerge soprattutto come uomo di fede dal confronto con Scalfari. Parla di Dio («non esiste un Dio cattolico»): «E io credo in Dio... Gesù è il mio maestro e il mio pastore...». Il parlare del Papa è pieno di riferimenti all’esperienza di Dio. Gli dice il giornalista: «Io credo nell’Essere cioè nel tessuto dal quale sorgono le forme, cioè gli Enti». Papa Bergoglio non addolcisce la distanza tra due concezioni diverse, ma porta il colloquio su un terreno comune: l’egoismo è aumentato e gli uomini di buona volontà debbono lavorare perché «l’amore verso gli altri aumenti fino ad eguagliare e possibilmente superare l’amore per se stessi». Il Papa ha spesso parlato di una società narcisista: per questo manca di visione, ripiegata sulla piccola cronaca e su modesti interessi.
Dalle parole di papa Francesco emerge un sogno più che un progetto: far lievitare l’amore per il prossimo nel nostro tempo. Vuol dire cose concrete. Lo si vede quando condanna il liberismo selvaggio, che arricchisce i ricchi e impoverisce i poveri. Chiede regole, interventi dello Stato. C’è un compito specifico della politica che, per il Papa, è laica, nel cui ambito si impegnano anche i politici cattolici secondo i valori della loro coscienza. Non è certo un Papa temporalista. Ma vuole cambiare il mondo.
Ma lo può fare con la sua Chiesa? Nell’intervista c’è una lunga riflessione su San Francesco, un modello per lui che vuole «una Chiesa missionaria e povera». Spiega che missione non è proselitismo: desidera «missionari in cerca di incontrare, ascoltare, dialogare, aiutare, diffondere fede e amore». Scalfari gli ricorda le ridotte dimensioni dei praticanti cattolici e i tanti non cattolici. Il Papa non è spaventato: «Personalmente penso che essere una minoranza sia addirittura una forza». Papa Francesco non intende chiudere il suo gregge tra mura sicure: «Il Vaticano II... decise di guardare al futuro con spirito moderno e di aprire alla cultura moderna». Non si è fatto molto — dice con nonchalance. Ma dichiara: «Io ho l’umiltà e l’ambizione di volerlo fare». Sereno, simpatico, con idee chiare: così appare il Papa a Scalfari. Che conclude: «Se la Chiesa diventerà come lui la pensa e la vuole, sarà cambiata un’epoca». Ha ragione. Si può cambiare un’epoca. E non solo per la Chiesa.