Arturo Carlo Quintavalle, Corriere della Sera 2/10/2013, 2 ottobre 2013
OCCHIALI MACCHINA DEL TEMPO PER I TURISTI DEL PASSATO
Dopo Siviglia a Barcellona gli occhiali che guardano all’indietro, intendo il passato. Certo facili da portare, più difficile il capire. Infili gli occhiali e vedi la città com’era settecento, mille, duemila anni fa. Prodigi della tecnica?
In fondo tutti i turisti dovrebbero farlo, e senza occhiali: cercare di vedere, di capire come era un luogo nel passato. Come quando scopri la foto della prima gita in campagna, o quando, nelle deleterie cene dove ti ritrovi con la vecchia classe del liceo, non riconosci proprio la ragazza che ti era da sempre (invano) piaciuta. Così adesso il gioco degli occhiali sembra lo stesso, ma c’è da sapere che, da almeno tre generazioni, il presente ha fatto di tutto per cancellare il passato trasformando il tessuto vivo in singoli isolati - monumenti-. Brutta metafora?
Proviamo a far funzionare la macchina del tempo, anche se ci vorrebbe Herbert George Wells per raccontare. Intanto l’orologio, di quanto indietro rispetto a noi? Facciamo un gioco, diciamo circa novecento anni, più o meno. E cominciamo con Roma che, negli anni 70 del secolo XI, è una città con dentro la campagna: aveva sotto Augusto un milione di abitanti, adesso ne ha forse 15.000. Le mura aureliane, chilometri e chilometri, e le torri cadono in rovina, la gente si è sistemata attorno a pochi nuclei, le torri delle famiglie potenti, oltre Tevere domina il vecchio mausoleo di Adriano, ora Castel Sant’Angelo, dove si rifugia Papa Gregorio VII per sfuggire a Enrico IV, l’imperatore che ha conquistata Roma. Ecco la città: ovunque rovine salvo le chiese, fuori acquedotti diruti, gli animali pascolano fra le colonne dei fori, semisepolti gli archi di trionfo e il Colosseo che, come il teatro di Marcello, diventa luogo dove rifugiarsi: basta murare le arcate e si sta al sicuro. Ecco, questa è la Roma dove i Normanni di Roberto il Guiscardo nel 1084 portano in salvo il Papa nel loro regno a Salerno.
Andiamo a Pisa, siamo attorno al 1100: la cattedrale è costruita da Buscheto fuori delle mura antiche, in un vasto spiazzo: l’architetto comincia dalle absidi e dal transetto e arriva a metà navate, sarà Rainaldo ad arrivare alla facciata. Dunque mezza cattedrale, niente mura, niente torre pendente che poi, quando viene costruita attorno al 1180, non era pendente, lo diventerà dopo. E poi niente Camposanto: la piazza, quella adesso verde, densa di turisti invadenti e un poco goffi, è seminata di sarcofagi antichi riutilizzati per seppellirvi corpi santi, davvero una «piazza dei miracoli».
Proviamo a spostarci appena un poco più avanti, quando l’Imperatore di Germania, Federico Barbarossa, alleato con mezza Lombardia, chiama le città amiche a distruggere le mura della ribelle Milano. Siamo nel 1162, Milano resta coi fossati pieni delle rovine delle mura abbattute a picconate; la gente, 50.000 persone, è fuggita, l’imperatore lascia in piedi la cattedrale, Santa Tecla e, accanto, il battistero paleocristiano, ma a Sant’Eustorgio rapisce la reliquia più preziosa, quella dei re Magi: la porterà a Colonia, in Duomo. I milanesi torneranno e, naturalmente, ricostruiranno le mura.
Basta disastri, proviamo ad andare più indietro, nel VI secolo, a Costantinopoli, la città sul Bosforo chiusa nelle mura bianche di pietre e rosse di mattoni di Teodosio II, dove l’Imperatore Giustiniano nel 537 ha appena consacrata Santa Sofia, splendente di mosaici e di preziosi marmi, con una enorme cupola spazio simbolico del mondo. Per venire a consacrare la chiesa l’Imperatore ha lasciato il Palazzo sull’Acropoli, ma di quello, cortili, torri, enormi sale, restano solo i mosaici che raccontano di un impero e dei suoi domini e di una saggezza antica, quella delle fiabe: così leoni, dromedari, elefanti, tigri e ogni genere di vegetazione. Mura, porte, strade, stadio, anfiteatro, la Nuova Roma è adesso la città più ricca del Mediterraneo, centinaia di migliaia di abitanti, cupole dorate al tramonto sull’istmo. La Roma «vecchia» invece è un città decaduta dove solo le chiese cristiane raccontano una nuova storia.