Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  ottobre 01 Martedì calendario

CARBONI, UN RITORNO BESTIALE

Accadde così che un bel giorno di circa 30 anni fa la televisione si trasformò in uno strano juke-box.
Cioè tu l’accendevi, mettevi su una nuova stazione chiamata Mtv e ci vedevi la musica. C’erano dei presentatori, che non erano dee-jay ma vee-jay, disc jockey del video e loro mettevano non i dischi ma i videoclip, i filmati delle canzoni. E tra questi c’erano un ragazzotto di 22 anni con le palpebre un po’ a mezza serranda, che pareva appena alzato, e bofonchiava qualcosa tipo: «Ci stiamo sbagliando ragazzi». E tutti dicevano: ma questo qui c’ha la zeppa, la calata bolognese, ma chi è questo che vuol copiare Vasco Rossi?
Ma il ragazzo Luca Carboni non è che volesse copiare poi chissà chi, aveva appena fatto un disco con Gaetano Curreri degli Stadio e Lucio Dalla, e quel disco, complice anche la Mtv, sarebbe stato la rivelazione del 1984.
Un altro paio di dischi, ugualmente fortunati, poi l’esplosione vera, perentoria, definitiva, con alcune storie di farfalline e di Silvie, vicende tenere e tragiche di amori stroncati dall’eroina, di solitudine che non si sapeva come maneggiare, di una fragilità che poi è quella che impregna l’anima dell’uomo così come l’acqua compone il suo corpo.
Sono passati 30 anni, mica uno, i televisori son diventati computer e poi telefoni, il pizzo s’è fatto bianco, e un po’ fa male perché – succede – identica sorte è toccata a chi ascoltava quel coetaneo che pareva un po’ addormentato ma non lo era affatto. E che adesso si concede una retrospettiva secondo il suo stile: in punta di piedi (12 brani appena, tre dei quali inediti, e potevano essere 30 o 50), però affidati ad altrettanti colleghi. E se uno dice che Luca Carboni, personaggio sempre più schivo, sempre più autoconfinato, ha però collaborato con 100 nomi, non lo dice per dire: son proprio 100, forse anche di più.
Fisico & Politico schiera duetti con Tiziano Ferro, Elisa, Jovanotti, Alice, Miguel Bosé, Franco Battiato, Biagio Antonacci, Cesare Cremonini e Samuele Bersani: e sono proprio loro, gli ospiti, a essersi scelti il brano di Carboni che sentivano più a pelle. Gli inediti sono il brano che battezza la raccolta, Fisico & Politico, in duetto con Fabri Fibra, C’è sempre una canzone, scritto da Ligabue, e Dimentica. L’età della ragione è un traguardo che fa sempre un po’ male, non tanto quando lo tagli ma quando lo celebri. Meglio che la festa abbia un po’ di amici.
Poteva insistere sul personaggio del giovane trasognato, pigro, disorientato. Ma non era un personaggio, era la persona a essere così e pian piano se ne sono accorti tutti. Carboni poteva finire nell’imbuto rutilante del nazionalpopolare, della musica leggerina, più che leggera. Invece è di quelli che hanno lavorato per sottrazione: un album ogni tanto (appena 10, a conti fatti, ne conta la sua discografia: pigro, lo è di sicuro), ma sempre più personali, defilati, in certo senso intransigenti.
Insistendo su quella malinconia oscillante che a volte si tinge d’ironia per non farla troppo lunga, per non prendersi così sul serio. Ma un’ironia, anche lì, non tronfia, senza tentazioni di sarcasmo: il «fisico bestiale» fu una intuizione di quelle eterne, diventò slogan e proverbio, venne, e ancora viene, saccheggiato da migliaia di articoli.
Luca il fisico bestiale non ce l’ha mai avuto e s’è ritirato sui colli neanche dentro la sua Bologna. Qui sparisce, ogni tanto torna, un po’ più bianco, sempre con quelle palpebre a mezza serranda. Ma sempre più consapevole che quella strana desolazione che dentro ci portiamo è incorreggibile, irrimediabile: è quella crepa che davanti al Mare, mare ti fa sentire solo, sbagliato, perdente anziché euforico. Se uno ci nasce, così, ci vive pure. Questo non passa.
Lo scorso 4 marzo, c’è stato il ricordo di Lucio Dalla in Piazza Maggiore e vedi un po’ se lui poteva non cantare Quale Allegria, che è così triste, così disperata, ma fa così bene sentirla. E allora capivi che davvero la vita è una cosa strana, un circolo che non lo spezzi neanche se ti ci spacchi la testa, che si ferma quando vuole e continua anche se non vuoi. E forse è inutile aggredirla, tanto ti leviga, t’imbianca e ti riscrive giorno a giorno. E ne passano 11 mila e non sai più cosa è rimasto di te, cosa è andato via.
È cambiato, Luca Carboni? Mica tanto. Stessa espressione, al netto dei ricami del tempo. Che però lo aspetta, perché non può far altro: lui torna quando gli pare, un disco, un tour, un’ospitata, una collaborazione, e passano gli anni e ormai nessuno lo inscatola tra i cantanti di cassetta.
Anzi, è proprio difficile incorniciare Luca Carboni. Il tutto senza gesti eclatanti, prediche, proclami o manifesti. Sempre quella malinconia di nebbia che inzuppa, che consuma, e che fa sorridere. Sarà l’Emilia con le sue pianure, i colli e i fiumi dove fermarsi ad ascoltare una canzone che ti stana, ti chiede di venire cantata. Sarà quella pigrizia che mette insieme un sacco di cose, di amici, di concerti e non t’accorgi che hai mezzo secolo e 30 anni di carriera. E allora è giusto provvedere: però affidandosi agli altri, facendoti cantare da loro, riscrivendoti insieme a loro. Se no a che servono gli amici a un pigro solitario?