Mario Ajello, il Messaggero 1/10/2013, 1 ottobre 2013
A PALAZZO MADAMA I CONTI PER IL BIS TORNANO IN BILICO
Si è inceppato il pallottoliere. Non faceva che contare tutti i nuovi «diversamente berlusconiani» che stavano velocemente aumentando in Senato.
Non faceva che calcolare quanti frondisti erano pronti a fare la festa al Cavaliere in aula al Senato, mercoledì, votando la fiducia a Letta e infischiandosi degli ordini del leader, anzi della Pitonessa. E invece? E’ bastato uno sguardo di Berlusconi, e un suo discorso all’assemblea dei gruppi ieri a Montecitorio, per riportare la situazione di Palazzo Madama a suo favore, per bloccare la diaspora - almeno per ora, ma guai a cantare vittoria troppo presto - e per togliere i consensi al premier in carica che sarebbero potuti provenire dall’esercito dei senatori meridionali dediti al trasformismo e alla conservazione della poltrona e, con ragioni politicamente più profonde, da coloro che - un po’ vicini a Lupi, un po’ vicini Quagliariello - vogliono un centrodestra non modello Salò.
Servirebbero tredici voti, a Letta, per salvarsi. Sicuramente i malpancisti del Pdl, che potrebbero salvarlo ma non lo faranno adesso, sono molti di più. Ma mercoledì è vicino, il richiamo all’ordine da parte del Cavaliere è stato perentorio, il lavorio per fare un gruppo chiamato Italia Popolare in Senato continua ma serve più tempo e insomma scherza Luigi Compagna, senatore berlusconiano ma non favorevole alla crisi, e che poteva essere uno dei dissidenti ma non lo è più: «Siamo dei rieducati di Pol Pot». Ecco, sembrava facile, per Letta, superare in Senato la quota di maggioranza - che è di 261 voti - grazie agli apporti dei «diversamente berlusconiani» d’ogni tipo e dei «diversamente grillini» che ritengono insopportabile ubbidire a Beppe a Casaleggio, e invece ieri c’è stata una frenata del pallottoliere.
I sì a Letta nel voto di fiducia furono 233, ben oltre il quorum richiesto. Senza i Pdl, e gli eventuali frondisti del Pdl ieri in ritirata ma che non hanno gettato le armi, i numeri non lasciano scampo al governo: l’asticella fissata a 161 (dopo la nomina dei quattro senatori a vita l’Assemblea è composta da 321 membri) e se si sommano i senatori del Pd (108), delle Autonomie (10) e di Scelta civica (20), si arriva appena a 138. Tredici in meno di quelli richiesti. Fine della storia e subito al voto, dunque? No. E no perchè? Perchè forse l’euforia di Verdini - che ieri pomeriggio esclamava «li abbiamo ripresi tutti», riferendosi ai senatori meridionali attaccati alle poltrone e irriducibilmente nemici delle dimissioni - può essere che sia un po’ frettolosa. Così come la goduria di Nitto Palma - «Io non sono un falco, sono un gatto» - che prima dell’assemblea dei parlamentari ha convocato da coordinatore regionale i senatori campani e li ha fatti giurare fedeltà eterna al Cavaliere, ricevendola da tutti e in abbondanza, non è detto che tra una decina di giorni non possa rivelarsi a sua volta poggiata su gambe d’argilla.
Tutto questo per dire che i malpancisti del Senato - tra cui, per restare ai noti, Quagliariello, Sacconi, Giovanardi, Compagna, Naccarato, quelli dei Gal, gli amici siciliani del sottosegretario Castiglione, Salvo Torrisi e Pippo Pagano, Federica Chiavaroli che è quagliariellista doc, il senatore Latronico che è vicino a Lupi - non hanno superato i propri mal di pancia anche se ieri Berlusconi ha dato loro un digestivo, che per ora sta funzionando. Ma il dove osano le colombe in Senato - che vede un gran lavorio soprattutto tra i cattolici e infatti il falco Bondi spara: «Non mi sono mai fidato di quelli che sbandierano principi non negoziabili» - prevede questo tipo di strategia. Domani, Letta viene sfiduciato e i «diversamente berlusconiani», mollati da Alfano e apparentemente «rieducati da Pol Pot», parteciperanno all’impallinamento del premier.
Ammesso che l’applauso corale tributato a Berlusconi ieri non valga come quello dell’intero gruppo parlamentare che omaggiò la candidatura di Prodi al Quirinale e poi però spuntarono in aula 101 pugnalatori. Un altra risorsa per Letta potrebbero essere, poi, i quattro ex grillini (e siamo a meno dieci) già usciti dal gruppo. E per quanto riguarda il resto dei 5 Stelle, un pezzo da novanta come Riccardo Nuti fa notare: «Qualche Scilipoti ci può essere anche tra di noi, qualcuno che aiuta una nuova maggioranza a nascere si può annidare anche in un movimento qual è il nostro, che vive e agisce alla luce del sole». La situazione per il premier però è molto ma molto critica, perchè in prima battuta i numeri dovrebbero essere domani a lui sfavorevoli, ma la partita non finisce comunque lì. E i frondisti, i berlusconiani che preferiscono il Ppe a Salò, gli anti-Pitonessa che guardano a Casini e a Monti e a una destra di stampo liberale e non populista (più i soliti poltronisti ma quelli esistono in ogni Parlamento e in qualsiasi legislatura) si fanno questo film: Letta chiede la fiducia a questo governo, con i ministri dimissionari, e non la ottiene; va da Napolitano, chiede un incarico per un Letta bis senza Berlusconi - che intanto è decaduto da senatore, gettando il Pdl nello sconforto più assoluto tranne che nelle sue frange più combat - e a quel punto i sediziosi e gli scissionisti l’appoggio al nuovo esecutivo lo potrebbero dare. E sarà in quella occasione che nascerà, forse, una nuova formazione di centrodestra. O quelle che i politologi già chiamano «le due destre»: una populista ma l’altra no. Il tutto sulla base del fatto che la stragrande maggioranza dei senatori azzurri non vuole andare a votare. Ieri hanno detto di sì a Silvio ma continuano a pensare, e forse lo dimostreranno nelle prossime settimane, che la legislatura qualcosa sta producendo e facciamola produrre.
Il vero problema per questo blitz ritardato sono i precedenti: nessuno vuole fare la fine di Fini, finito a portare a spasso il cane o forse è il cane che porta a spasso lui. E non sanno se il Centro che verrà avrà la forza di candidarli, mentre Silvio ieri ha detto a tutti loro: «Prenderemo, secondo la mia sondaggista Alessandra Ghisleri, 261 parlamentari. Ora siamo 185. Voi ci risarete e se ne aggiungeranno tanti altri». E poi: uno come Quagliariello è un buon leader per una nuova formazione, oppure è più un Giuliano Amato che ha bisogno di un Craxi piuttosto che un condottiero politico in proprio? In queste ore, intanto, il parricidio è rinviato. E Scilipoti si riallinea. E Ciro Falanga e gli altri campani in odore di fughetta diramano comunicazioni di fedeltà al Leader Massimo. E il capo del Gal, Mario Ferrara, allontana dal suo gruppo ogni ombra di tradimento: «Pieno sostegno a Berlusconi». I siciliani di Alfano chinano il capo, contriti per avere pensato alla fronda. E via così. Il vicecapogruppo azzurro, Paolo Romani, ieri sera ha festeggiato: «Partita chiusa al Senato. Nessuna defezione». Ma il secondo tempo di questa partita è tutto ancora da giocare.
Mario Ajello