Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  ottobre 01 Martedì calendario

A ENRICO SERVONO 22 VOTI


Di sicuro c’è solo che ad Enrico Letta mancano i voti. Venti, come minimo. Se il presidente del Consiglio confermerà la volontà di presentarsi domani a Palazzo Madama per ottenere la fiducia (a ieri sera la linea resta questa), per evitare di soccombere dovrà operare uno scouting preventivo di discreto cabotaggio. Altrimenti, i numeri per la fiducia non ci sono. La maggioranza è a quota 161, e l’asticella appare difficilmente raggiungibile.
Di certo il governo può contare su 139 lucine verdi: 107 del Partito democratico (il presidente Pietro Grasso, come da prassi, non vota), 20 di scelta civica, 7 di Sel e 5 dei senatori a vita (Ciampi più il quartetto di neo-nominati Abbado, Cattaneo, Piano e Rubbia). Sulla compattezza di questi voti non paiono esserci dubbi: nel Pd girano voci di possibili defezioni all’ultimo dei renziani (il sindaco di Firenze avrebbe tutto l’interesse ad incassare dalla caduta del governo la candidatura a premier per le prossime elezioni), ma dalla pattuglia in questione non arrivano segnali in tal senso.
Al governo, dunque, mancano ventidue voti sicuri. E qui si inizia a lavorare di pallottoliere. Il gruppo delle Autonomie conta dieci senatori, che storicamente non votano contro il governo, mentre nel Pd si coltivano speranze di reclutare almeno un paio di senatori del Gal (il gruppo ibrido costituitosi all’indomani del voto con dieci tra pidiellini e leghisti). Ammesso che da questi due gruppi arrivi la dozzina di voti sperati, il pallottoliere si ferma a quota 151: ne mancano dieci.
E qui parte lo scouting quello serio. Il primo obiettivo sono i quattro dissidenti grillini transitati nel Misto. Costoro hanno ampiamente fatto capire di non avere problemi a votare la fiducia. Il guaio, però, è che Letta sarebbe orientato ad operare una qualche selezione all’ingresso e a fare a meno - per motivi di presentabilità - dei Cinque stelle, sia quelli già pentiti sia quelli da convincere alla bisogna. Se questa linea schizzinosa dovesse avere seguito, allora i dieci voti mancanti non potrebbero che essere cercati in casa berlusconiana.
«So che nel Pdl ci sono molte persone si stanno facendo delle domande», buttava lì con apparente noncuranza il ministro per i Rapporti col Parlamento Dario Franceschini ieri sera in tv. Ed il disegno del Pd punta ad allargare quanto possibile la platea di quanti si interrogano. Alcuni degli obiettivi sono noti da settimane: a Palazzo Madama siedono svariati senatori alla prima legislatura, e su di loro il pressing dei democrat è asfissiante. Grandi speranze vengono anche riposte nelle colombe berlusconiane, che si sperano scottate dalla linea dura scelta dal Cavaliere e pronte al grande salto. Gli esploratori del Nazareno fanno sapere di essere fiduciosi: dieci pidiellini, in un modo o nell’altro, sono convinti di farli saltare fuori.
A quel punto, però, si arriverebbe al problema dei problemi: 161 voti bastano per sfangare un voto di fiducia, ma non certo per costituire una maggioranza solida. Con un margine così risicato il rischio instabilità si fa più che concreto. E se bisogna prendere per buone le parole del segretario del Pd Guglielmo Epifani («No ad un governicchio»), allora per Letta la strada che porta a bussare alla porta del Movimento cinque stelle si fa obbligata.