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 2013  ottobre 01 Martedì calendario

LA CAMERA NON SBLOCCA I FONDI E NEGLI USA RESTANO A CASA 800 MILA DIPENDENTI PUBBLICI


«Non sono rassegnato a chiudere gli uffici pubblici», dice Barack Obama. Ma subito dopo aggiunge: «Non si può negoziare un compromesso sotto il ricatto del default». E così allo scoccare della mezzanotte fra lunedì e martedì, molti rami dell’amministrazione federale hanno diramato istruzioni perché restino a casa i dipendenti (800.000 in tutto, con stipendio ridotto o azzerato) e hanno iniziato a programmare la sospensione di servizi, per mancanza di fondi. Non accadeva da 17 anni. Oggi come nel 1996 durante la presidenza di Bill Clinton, la “mancanza di fondi” in realtà è il frutto di uno stallo politico. I fondi ci sarebbero, il Congresso però non li sblocca. Stavolta si tratta di un ramo soltanto del Congresso, la Camera che ha una maggioranza repubblicana. Wall Street comincia a preoccuparsi, da diverse sedute è in calo, perché vede concatenarsi due eventi in rapida successione. Prima il cosiddetto “shutdown” o chiusura di uffici pubblici. Poi, attorno al 17 ottobre, un default tecnico ancora più grave: se la Camera si rifiuta di votare l’innalzamento del tetto del debito pubblico, il Tesoro non potrà rifinanziarsi emettendo nuovi bond sul mercato. Il secondo shock è più grave del primo perché tocca la credibilità del Tesoro Usa verso i sottoscrittori dei suoi bond: il più grande mercato obbligazionario del pianeta. Anche il “shutdown” non sarà indolore, però. All’inizio sembrerà una crisi semi-invisibile: Obama ha dato direttive a tutti i dipartimenti e le agenzie federali, affinché siano colpiti dalle chiusure solo servizi “non essenziali”. Dunque nessun cittadino dovrebbe rimanere senza il soccorso della polizia, o l’assistenza dei controllori di volo. Il servizio postale resta attivo perché si autofinanzia con la vendita di francobolli. Le prime vittime saranno agenzie come la Nasa o i parchi nazionali: nulla che incida pesantemente nella vita quotidiana e nell’attività economica. Ma resteranno comunque a casa 800.000 dipendenti federali senza stipendio o con entrate ridotte, e questo avrà un impatto macroeconomico sui redditi, sui consumi. Si capisce perciò l’avvertimento che aveva lanciato Ben Bernanke, il presidente della Fed. «La chiusura di servizi pubblici - disse il banchiere centrale alla sua ultima conferenza stampa - e ancor più il mancato innalzamento del tetto del debito, avranno serie conseguenze sui mercati finanziari e sull’economia reale». Proprio nella prospettiva di questa paralisi, la Fed aveva dovuto rinunciare a togliere la sua “flebo” monetaria: lo shutdown ha convinto Bernanke a continuare per ora i massicci acquisti di bond che pompano liquidità nei mercati.
Lo stallo politico restava totale fino a ieri sera. Alla Camera, la maggioranza di destra ha approvato l’ennesima versione di una legge che autorizzerebbe il finanziamento dei servizi federali solo per pochi mesi e a condizione di rinviare la riforma sanitaria di Obama. Nell’ultima stesura di quel testo è stata abolita una tassa sugli apparecchi biomedici che serve a finanziare la nuova assistenza sanitaria: un chiaro segnale alle lobby industriali del settore. Per Obama e per i democratici la riforma sanitaria non si può sacrificare, tantomeno per un rifinanziamento solo di brevissima durata. E dunque il Senato a maggioranza democratica ha subito bocciato la legge approvata dalla Camera. I sondaggi indicano che la maggioranza dei cittadini darà la colpa di questa paralisi ai repubblicani. Accadde nel ‘96 e su quello i repubblicani persero le elezioni. Ma oggi la destra sembra convinta che la riforma sanitaria vada affondata ad ogni costo. E se lo “shutdown” dovesse avvenire senza infliggere disagi troppo pesanti ai cittadini, i repubblicani forse riuscirebbero a dimostrare il loro “teorema”: e cioè che lo Stato è in larga parte una macchina inutile, una sanguisuga fiscale e basta.