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 2013  ottobre 01 Martedì calendario

NOI, IN VIAGGIO DA GIORNI PICCHIATI CON FRUSTE E BASTONI POI SPINTI IN MARE A MORIRE


«Sapevano che molti di noi non erano in grado di nuotare ma ci urlavano di fare in fretta, di tuffarci, perché dovevano salvare la barca finita sulla secca. Hanno cominciato a picchiarci con corde e bastoni, minacciandoci con i coltelli. Ci spingevano in mare, molti erano caduti perché eravamo come in una trappola su quella piccola barca con cui eravamo partiti non so più quanti giorni fa. No, non lo so come mi sono salvato, non so nuotare, qualcuno però mi ha preso per le braccia e mi ha tirato fuori dall’acqua portandomi sulla spiaggia. Ma gli altri, e tra questi miei parenti e amici, sono morti. Loro (gli scafisti, ndr) li hanno ammazzati».
Davanti agli uomini della squadra mobile di Ragusa Irai Syfatt, 30 anni, eritreo, mette a verbale con l’aiuto di un interprete, l’odissea sua e degli altri disperati partiti «da una spiaggia libica tre o quattro giorni fa». Erano almeno 150, su quella barca di otto metri appena. «La traversata era stata buona — racconta Irai — anche se su quella barca non ti potevi muovere, eravamo appiccicati come l’uno all’altro come lumache. Loro (gli scafisti, ndr) ci dicevano di stare buoni. E quando abbiamo visto terra pensavamo di avercela fatta. E invece i nostri amici sono morti annegati anche se il fondale è bassissimo: quasi nessuno tra noi sapeva nuotare».
«Gli scafisti erano cinque, ma il più cattivo era l’arabo che ci aveva portato sulla barca per andare a Lampedusa — aggiunge una sopravvissuta somala, Marianne Fadith — gli avevamo consegnato 1.500 dollari per me e per il mio bambino e dicevano che era “un prezzo buono”. Mi trovavo in Libia da un anno, poi qualche giorno fa nel capannone dove ci avevano radunati è arrivato quell’arabo cattivo: ha raccolto i soldi e ci ha portati su una spiaggia. Siamo partiti alcune ore dopo, quando era già buio. Abbiamo sofferto tanto perché avevamo poco cibo e poca acqua, pensavo che il mio bambino non ce l’avrebbe fatta a sopravvivere. E come lui gli altri bimbi a bordo. Invece Dio ci ha aiutati facendoci arrivare fino a qui. Ma quando la barca si è fermata a poche decine di metri dalla riva l’arabo cattivo e i suoi amici hanno cominciato a bastonarci urlandoci di buttarci giù».
“L’arabo cattivo” è stato riconosciuto da più di un sopravvissuto e quando gli investigatori hanno mostrato loro le foto dei fermati, non hanno avuto dubbi a riconoscerlo: «è lui» ha detto la donna agli inquirenti scoppiando in lacrime e stringendo al petto il suo piccolo di appena tre anni.
Anche altri sopravvissuti hanno indicato l’uomo come uno degli scafisti: «Erano loro che comandavano sulla barca e poche ore prima che arrivassimo qui hanno litigato perché avevano sbagliato rotta avevano sbagliato rotta. Ci avevano detto — ha raccontato il sopravvissuto agli investigatori ragusani — che ci avrebbero portato a Lampedusa, invece ci hanno portato qui, in pieno giorno».
«Era incredibile — dice una turista di Bergamo, tra i testimoni del drammatico naufragio sulla spiaggia di Sampieri, litorale di Scicli — come quella barca riuscisse a galleggiare, era stipata fino all’inverosimile con gente che gridava e si agitava. Chiedevano aiuto e abbiamo visto una gran confusione con gente che veniva spinta fuori dalla barca. Scene terribili che non avevo mai visto in vita mai. Era uno strazio vedere quelle donne in mare con i loro bambini in braccio. E poi quella fila di cadaveri che uno ad uno venivano adagiati sulla sabbia e coperti dai lenzuoli bianchi dei soccorritori».
Tra i primi a sopraggiungere, anche il vicequestore di Ragusa, Francesco Marino che da anni conduce inchieste sugli scafisti e che sospetta siano egiziani o tunisini ad aver organizzato il viaggio: «Qualcuno di questi “senza Dio” è stato riconosciuto dai sopravvissuti ma stiamo cercando di trovare altri elementi per potere incastrare tutti i presunti scafisti». Li hanno buttati in mare «perché tentavano — spiega Marino — di disincagliare la barca, speravano che senza “carico” il mare li avrebbe liberati dalla secca sulla quale dov’erano finiti, ma sono stati sfortunati, quella barca non si è più mossa e anche loro sono rimasti incastrati ». Ora gli inquirenti sperano che non ci siano altre vittime ma non escludono che tra qualche giorno altri cadaveri possano riemergere dal fondo del mare dove erano stati buttati dagli “arabi cattivi”.