Sergio Romano, Corriere della Sera 1/10/2013, 1 ottobre 2013
RUSSIA E NATO NEL DICEMBRE 1991 QUEL MESSAGGIO SCOMPARSO
Risulta che verso la fine del 1991 il governo di Boris Eltsin abbia sollevato, in una comunicazione diretta all’Alleanza Atlantica, il problema dell’adesione russa alla Nato. La comunicazione sarebbe rimasta senza risposta e sarebbe stata ritirata qualche giorno dopo con la giustificazione che si era trattato di un «errore tecnico». Può dirmi qualcosa del modo in cui la Nato reagì a quel messaggio?
Anatolij Adamishin
Ambasciatore russo a riposo
Mosca
Caro Adamishin,
H o interpellato persone che hanno maggiore familiarità con la Nato degli anni Novanta, ma nessuna di esse ricorda quell’episodio. Forse qualcuno, leggendo la sua lettera, ci darà maggiori notizie. Per ora mi limito a osservare che l’ipotesi non è inverosimile e cercherò di spiegarne le ragioni.
Il 25 dicembre 1991, Michail Gorbaciov apparve sugli schermi della televisione per annunciare le sue dimissioni. Disse che la creazione di una Comunità degli Stati indipendenti, decisa nei giorni precedenti, aveva per effetto la disintegrazione dell’Urss e che in quelle circostanze, per ragioni di principio, non gli sarebbe stato possibile continuare a esercitare la carica di presidente. Con malinconica dignità rivendicò i meriti dell’opera svolta per riformare lo Stato da quando, nella primavera del 1985, aveva assunto la carica di segretario generale del Partito comunista dell’Unione Sovietica. Disse che lasciava ai suoi connazionali un Paese in cui tutte le elezioni erano infine libere e tutte le maggiori libertà – di parola, di pensiero, di fede - erano state restaurate. Qualche minuto dopo le bandiere rosse dell’Urss scesero lungo i pennoni che svettano sulla sommità del Cremlino e furono sostituite dal tricolore russo. Boris Eltsin era già presidente della Russia e conservò la carica, dopo le dimissioni di Gorbaciov, ma con un’autorità considerevolmente superiore a quella di cui aveva goduto sino a quel momento.
La disintegrazione dello Stato sovietico fu un terremoto (Putin, qualche anno dopo, avrebbe parlato di catastrofe geopolitica) e aprì una fase di grande instabilità. Come avrebbero reagito i membri della Nato? Avrebbero approfittato della scomparsa dell’Urss per trattare la Russia alla stregua di uno Stato sconfitto? La domanda può apparire assurda oggi, ma non dovette sembrare tale a quei dirigenti russi che ancora ricordavano gli interventi militari delle potenze alleate durante la guerra civile che si combatté per più due anni dopo la rivoluzione bolscevica. La comunicazione di cui si parla nella sua lettera, caro Adamishin, poteva servire a sondare le intenzioni degli Alleati e a prospettare implicitamente una radicale trasformazione della Nato. Da organizzazione politico-militare costituita contro un potenziale nemico, l’Alleanza sarebbe divenuta una organizzazione per la sicurezza collettiva del continente.
Le cose andarono diversamente. Dopo qualche incertezza, la presidenza Clinton decise non soltanto di conservare la Nato con tutte le sue caratteristiche originarie, ma anche di allargarla ai Paesi che avevano fatto parte del Patto di Varsavia. Non è tutto. Quando decisero di agire nella guerra civile jugoslava e di bombardare la Serbia, gli Stati Uniti sapevano di non potere contare su una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu (dove la Russia si sarebbe opposta con il suo veto) e si servirono della Nato per dare una copertura giuridica al loro intervento: una mossa che i russi, amici della Serbia, non hanno ancora dimenticato. Peccato che quella comunicazione di Mosca del dicembre 1991, se è veramente esistita, non sia stata presa sul serio.