Massimo Gaggi, Corriere della Sera 1/10/2013, 1 ottobre 2013
L’AMERICA VERSO LA GRANDE PARALISI
Un ping pong impazzito di misure approvate e subito respinte tra Camera e Senato ha riempito, ieri, le ultime ore prima dello «shutdown» dell’Amministrazione federale: la semiparalisi del governo Usa scattata alla mezzanotte (le sei del mattino di oggi, ora italiana) se, come appariva assai probabile ieri sera, il Parlamento di Washington non ha trovato in extremis un compromesso sul bilancio accettabile per democratici e repubblicani.
Ma nella notte, dopo un altro duro intervento del presidente deciso a non cedere a quello che considera un ricatto dell’estrema destra («non puoi essere costretto a pagare un riscatto per fare il tuo lavoro») è partito un ultimo tentativo di superare l’impasse: un gruppo di parlamentari repubblicani moderati ha minacciato di votare alla Camera insieme ai democratici per far passare il testo che finanzia senza vincoli l’attività della macchina amministrativa federale già approvato dal Senato. Intanto Obama ha chiamato al telefono i leader del partito conservatore che, fallito il tentativo di bloccare la sua riforma sanitaria e anche quello di rinviarne l’applicazione di un anno, stavano cercando di far votare, a 4 ore dalla scadenza della mezzanotte, un’altra versione della legge di bilancio che lega le autorizzazioni di spesa al rinvio di un anno dell’obbligo per i cittadini di procurarsi un’assicurazione sanitaria: una misura che entra in vigore proprio oggi.
È l’ultimo, disperato tentativo di John Boehner, il capo della maggioranza conservatrice alla Camera, si uscire dal vicolo cieco nel quale si è lasciato trascinare dalla destra radicale: pretendere che Obama rinunciasse alla sua riforma sanitaria che è già legge da tre anni e mezzo ma che solo oggi diventa pienamente operativa, come condizione per far passare le norme di bilancio necessarie per garantire la continuità dell’attività di governo. Lo speaker del Campidoglio ha capito troppo tardi che stavolta il presidente non avrebbe negoziato su quello che considera un vero e proprio ricatto. Ieri sera lo ha ripetuto: «Il Parlamento ha due doveri: approvare il bilancio e pagare il conto delle spese federali fatte in applicazione delle sue leggi».
Non ci possono essere condizioni, ha sottolineato il presidente, né tutto può essere bloccato dal diktat di una minoranza radicale, ha aggiunto con riferimento all’offensiva dei Tea Party che ha piegato i moderati repubblicani e lo stesso Boehner, inizialmente contrario a legare il bilancio a Obamacare.
A meno di un colpo di scena dell’ultima ora, oggi lo «shutdown» centinaia di migliaia di dipendenti dei servizi pubblici non vitali a casa senza stipendio a partire da oggi: parchi e musei pubblici chiusi da oggi, meno controlli da parte delle agenzie e delle «authority» federali, mentre non ci dovrebbero essere, per ora, ripercussioni per le truppe impegnate in giro per il mondo, le strutture diplomatiche, la posta, gli aeroporti, il controllo del traffico aereo, la sorveglianza alle frontiere, l’emissione di visti.
Migliaia, forse milioni senza stipendio, incertezza politica ed economica: una prospettiva che spaventa i mercati finanziari in America e nel mondo. Tutte le principali piazze, infatti, ieri hanno chiuso con un segno negativo. Allo Stock Exchange di New York l’indice Dow Jones ha perso 128 punti, poco meno dell’uno per cento. E le cose potrebbero andare ancora peggio nei prossimi giorni, temono alcuni analisti, se il «muro contro muro» al Congresso dovesse estendersi con altrettanta virulenza alla battaglia per l’aumento del tetto del debito pubblico: se questo limite non verrà alzato entro il 17 ottobre, il Tesoro non sarà più in grado di onorare i suoi impegni anche sui mercati finanziari. Sarebbe, tecnicamente, il default degli Usa sul loro debito: un evento mai accaduto nella storia, dalle conseguenze imprevedibili.
I personaggi più responsabili dei due fronti si rendono conto che questo è un rischio che va assolutamente scongiurato ma ormai lo scontro dialettico è incandescente e tornare al dialogo è assai difficile. Basti pensare che i conservatori accusano Obama di negoziare con un regime, quello degli ayatollah di Teheran, che ha commesso crimini, ma non col partito repubblicano. «Pretendere di entrare in casa tua e svuotarla minacciando di incendiarla se non apri la porta non è cosa che possa essere chiamata negoziato» ha replicato secco il presidente.
Linguaggio violento hanno controreplicato i repubblicani, ma il gruppo dirigente del partito è molto preoccupato anche perché i sondaggi dicono che la maggioranza degli americani li considera responsabili della paralisi del governo: secondo l’ultima indagine CNN-Orc il 46 per cento dà la colpa ai conservatori del Congresso, mentre per il 36 per cento la responsabilità principale è del presidente.
Del resto Boehner era consapevole fin dall’inizio dei rischi correva e infatti si era detto contrario ad alzare la posta della partita dello “shutdown” spiegando, nelle riunioni di partito, che un blocco dell’attività di governo provocato dalla destra avrebbe potuto far perdere ai repubblicani le elezioni di “mid-term” del novembre 2014.
Massimo Gaggi