D Repubblica 28/9/2013, 28 settembre 2013
MARISSA MAYER
Seduta a un tavolo della mensa aziendale di Yahoo!, Marissa Mayer si impegna a difendere il futuro di un’azienda che quasi tutti nella Silicon Valley danno per spacciata. Intorno a lei i collaboratori vanno e vengono, sistemando file di sedie per il FIY (For Your Information) pomeridiano, un nuovo rituale che ogni settimana permette ai dipendenti di rivolgere domande a Mayer e al suo team.
Il primo anniversario di Mayer come amministratore delegato è stato segnato da un rendiconto trimestrale poco entusiasmante. Per questo lei preferisce concentrarsi sull’aumento del volume di traffico web dell’azienda, che sostiene sia stato sufficiente a cancellare in toto il calo dell’anno scorso. «Mi faccia l’esempio di un altro gigante di Internet che abbia attraversato tre anni di declino per poi ricominciare a crescere», dice.
Quando Marissa Mayer ha lasciato la sua poltrona tra i capi di Google, sapeva di avere davanti la missione più difficile di tutta la Valley. Yahoo ha perso un decennio, patendo le conseguenze di una serie di strategie fallite e amministratori delegati inefficaci. È stata prima un repertorio di link, sotto i fondatori Jerry Yang e David Filo, quindi un portale Web durante l’amministrazione di Tim Koogle. Terry Semel ne ha fatto una tech-company che si dava arie hollywoodiane, e negli ultimi tempi ha languito sotto la guida di Carol Bartz e Scott Thompson, diventando famosa soprattutto per la capacità di farsi strappare i migliori talenti dalla concorrenza.
Ora Mayer vorrebbe trasformare l’azienda, che conta 11.500 dipendenti, in una "media company", spostando l’attenzione verso un’offerta di contenuti personalizzati per tablet e smartphone.
Da quando Mayer ha preso le redini della compagnia, le azioni di Yahoo sono salite del 75%, anche se questo aumento riflette soprattutto la sua partecipazione nel gigante Internet Alibaba, che domina il mercato cinese dell’e-commerce. Il nuovo amministratore delegato ha snellito le lungaggini aziendali e creato un servizio online grazie al quale i dipendenti possono lamentarsi dei problemi interni. Sotto la sua guida Yahoo ha lanciato due nuove applicazioni, Yahoo Mail e Yahoo Weather, che hanno riscosso un buon successo presso utenti e critici. Dall’azienda, poi, riferiscono che nel secondo trimestre le dimissioni del personale sono diminuite del 59%. «A Yahoo Marissa ha fatto due cose», dice Ben Ling, della società di venture capital Khosla Ventures, ex collega di Mayer a Google. «Ha reso l’azienda di nuovo attraente per i migliori, e ha cominciato a sfornare prodotti che coinvolgono gli utenti nella loro quotidianità».
Con i suoi 38 anni, Marissa Mayer è un amministratore delegato molto giovane, ma nella Silicon Valley è un’icona da un decennio. Da primo ingegnere donna di Google era nota per la sua etica del lavoro e per la disinvoltura con cui spendeva il patrimonio accumulato grazie alla quotazione in Borsa. Ha investito in un negozio di cupcakes, si è data da fare nei circoli filantropici di San Francisco e in un’occasione ha speso 60mila dollari a un’asta di beneficenza per un pranzo con Oscar de la Renta, il suo stilista preferito. A sventare il rischio che la si consideri dissoluta ci pensa la sua risata, così scomposta e nerd da finire in un’antologia-video su YouTube che ha avuto centinaia di migliaia di contatti.
Questo mix di carisma e credibilità è stato fondamentale per infondere vigore a un organico ormai svuotato di ricercatori e ingegneri, specie nel settore dello sviluppo. Qualche passo falso però c’è stato. Alcune dichiarazioni di Mayer su quanto sia facile essere genitori di un neonato hanno scandalizzato molte madri lavoratrici (Meyer ha un figlio, Macallister, di 10 mesi, era in attesa quando ha firmato per guidare l’azienda e si è fatta costruire un’apposita nursery accanto all’ufficio), e senza volerlo ha innescato una polemica nazionale richiamando in sede i dipendenti di Yahoo che usufruivano del telelavoro. Il mese scorso, l’azienda ha consegnato a Third Point, l’hedge fund controllato da Dan Loeb, un profitto pari a 655 milioni, impegnandosi a ricomprare proprie azioni per 40 milioni di dollari in cambio delle dimissioni di Loeb e di altri due dirigenti dal consiglio di amministrazione di Yahoo. C’è chi ha criticato Mayer per aver pagato a prezzo pieno un pacchetto azionario così sostanzioso a una persona che aveva avuto un ruolo chiave nella sua assunzione, ma la stessa portavoce di Yahoo DJ Anderson la difende, dicendo che l’azienda aveva già predisposto un programma di riacquisto.
Per Marissa Mayer l’affermazione degli smartphone riapre il gioco a favore di Yahoo. «Si tratta di un altro modo di offrire il Web», dice. «Io sono ottimista. Penso che tutti i leader lo siano».Lei ha deciso presto che le fortune di Yahoo erano legate ai dispositivi mobili. Accettando l’incarico, ha memorizzato una lista delle attività principali che le persone svolgono sui propri smartphone, e la ripeteva, senza che nessuno glielo chiedesse, a parenti e amici: telefonate, messaggi, e-mail, mappe, previsioni del tempo, notizie, quotazioni di borsa, sport, giochi, condivisione di fotografie, messaggistica di gruppo, gossip e notizie finanziarie.
Yahoo non avrebbe tentato di innovare nei settori del riconoscimento vocale, dei messaggi di testo o delle mappe, ma tutto il resto era compatibile con il suo business. Eppure, quando ha cominciato a modificare la rotta dell’azienda, Mayer ha scoperto che a lavorare sulle app c’era appena qualche decina di ingegneri.
A sottolineare l’importanza data al settore della telefonia mobile, Mayer ha ordinato che lo spazio di lavoro di Sunnyvale venisse ristrutturato. Il team "mobile" dispone oggi di postazioni di lavoro regolabili che permettono ai dipendenti di stare seduti o in piedi. Ci sono soffitti a vista, lavagne bianche a ogni parete, grandi poster su cui campeggiano display di iPhone giganti. Chi lavora per questa divisione gode anche delle personali attenzioni del boss. Gli ingegneri del team raccontano di riunioni di revisione del prodotto in cui Mayer li esorta in continuazione a muoversi più veloci e a pensare più in grande. E non si fa problemi a lasciare che il suo istinto prevalga sui dati empirici: «Solo perché abbiamo un righello, non significa che dobbiamo misurare tutto», avrebbe dichiarato durante una di queste riunioni, stando a quel che dice Lee Parry, senior director della sezione smartphone.
Da Yahoo dicono che negli ultimi mesi il traffico di app come Yahoo Mail, Yahoo Weather e News è aumentato rispettivamente del 120, del 150 e del 55%. E ce ne sono altre in arrivo: su una parete dell’ufficio campeggia un grande e affollato diagramma che indica il calendario di lancio dei prodotti, da cui si intuisce che l’azienda è al lavoro su applicazioni per Yahoo Gruppi e Yahoo Messenger. «Sappiamo che andremo incontro a un certo scetticismo», dice Parry. «Ma il fatto che si siano già visti dei risultati sta dando a tutti la sensazione di essere sulla strada giusta. In questo è bravissima Marissa: lei spiana un cammino verso l’orizzonte e dice: "È lì che dobbiamo andare"».
Lo scetticismo abbondava quando Mayer ha lasciato Google, l’unica azienda in cui avesse mai lavorato, per quel panorama deprimente che era Yahoo l’estate scorsa. Un pacchetto retributivo di 36,6 milioni di dollari tra stipendio e azioni per il solo 2012 dev’essere stato convincente, ma Mayer ci tiene a dire che a entusiasmarla era l’opportunità. E pur ripromettendosi di incentrare questa intervista sulla strategia aziendale, non può fare a meno di descrivere il momento di panico che l’ha colta quando ha creduto di non aver ottenuto il posto di amministratore delegato. Mayer aveva ambito a quella posizione nella più assoluta segretezza. Ha dovuto dire delle parole in codice all’autista della limousine che la aspettava fuori dalla sua casa di Palo Alto per accompagnarla in uno studio legale della Silicon Valley all’incontro con il CdA di Yahoo. Avrebbero dovuto richiamarla per comunicarle la decisione entro le 20. Arrivata quell’ora, lei e il marito, l’investitore Zachary Bogue, erano a una cena, e Mayer reprimeva l’istinto di controllare in continuazione il telefono. «Mi sembrava un’occasione così grande», racconta, «e sentivo di avere così tante idee». Alle 21.45, il telefono di Mayer taceva ancora. Mortificata, ha cominciato a gesticolare per far capire al marito che voleva andarsene. Alla fine, mentre stavano salutando i presenti, Mayer ha ricevuto una telefonata da Jim Citrin, uno dei soci della Spencer Stuart, la società che si occupa del reclutamento dirigenti per Yahoo. Educazione ha voluto che la lasciasse finire sulla segreteria telefonica. Un anno dopo, Mayer sfiora il suo iPhone e me la fa sentire: «Marissa... hai di che sorridere», dice Citrin. «Noi stiamo sorridendo. Chiamami appena puoi».
Mayer è instancabile nella caccia ad altre persone fiduciose come lei. Oltre al settore smartphone, ha cominciato a riportare fondi nella ricerca, che il precedente amministratore delegato Thompson aveva sventrato con una serie di licenziamenti. Dice che ha l’obbiettivo di assumere 50 ricercatori entro l’anno, e ne ha già messi sotto contratto 30. Uno degli ambiti su cui potrebbe concentrarsi la loro attenzione è quello del motore di ricerca. Anche se il settore è dominato da Google e dietro il funzionamento del motore Yahoo negli ultimi tre anni c’è stata Microsoft, Mayer è ancora convinta che la sua azienda possa inventare nuovi modi per presentare i risultati. «La ricerca è un’area tutt’altro che tramontata», dice. «È come la fisica nel Seicento o la biologia nell’Ottocento. C’è un sacco di strada da fare, prima di arrivare alla fisica quantistica, o anche solo al microscopio».
A differenza di altre potenze come Apple, Google, Facebook, Samsung o Amazon, Yahoo non controlla un sistema operativo, né fabbrica dispositivi hardware. E a differenza di Netflix e di HBO non è proprietaria di programmi di enorme successo che la gente sia disposta a pagare per vedere. Qualche contenuto esclusivo però Mayer se l’è assicurato. Ad aprile, Yahoo ha comprato i diritti online delle vecchie clip di Saturday Night Live. Dice che la sua strategia è stringere partnership con altri operatori, diffondere i contenuti con licenza Yahoo, programmi di intrattenimento originali e collezioni di app ai dispositivi hardware di altre aziende. Yahoo, per esempio, è l’applicazione di borsa presente di default su tutti gli iPhone, e ultimamente Mayer parla di realizzare altri accordi del genere. Il rischio è che qualsiasi azienda decida da un momento all’altro di rimpiazzare ciò che offre Yahoo con qualcos’altro.
E anche se le sue app gratuite dovessero sfondare, Yahoo deve ancora inventarsi un modo per farle rendere. L’azienda starà senza dubbio mettendo a punto una strategia per inserire la pubblicità nei suoi servizi "mobili". Anche su quel fronte, però, la concorrenza è fitta. Le azioni di Facebook hanno avuto un’impennata del 30% dopo l’annuncio che il 41% dei loro ricavi proviene ora dalla pubblicità sui telefonini. Anche se da Yahoo non vogliono rivelare quanto frutti per loro il settore, l’analista della Macquarie Securities Benjamin Schachter stima che la loro fetta di introiti pubblicitari sia al di sotto del 10%.
Pur godendo di grande credibilità presso gli ingegneri, Mayer è una sconosciuta per i maggiori inserzionisti di Yahoo. «Andare in giro a incontrare clienti e inserzionisti non è cosa per lei», dice Marla Kaplowitz, che dirige l’agenzia di media MEC North America. Quanto ai prodotti, «Yahoo deve sveltirsi ancora un bel po’», sottolineando che gestire grandi campagne pubblicitarie sulla piattaforma di servizi offerti da Yahoo è disagevole.
I ricavi di Yahoo hanno raggiunto il loro picco nel 2008, con 7,2 miliardi di dollari, e da allora si sono quasi dimezzati. Nel corso degli ultimi mesi, le vendite hanno fruttato 4,8 miliardi. «So che abbiamo un sacco di lavoro da fare», dice Mayer, alzandosi perché la riunione FIY sta per cominciare. «Fino a questo momento, le cose sono andate molto bene. Ero ottimista, ma molti risultati hanno superato perfino le mie aspettative».
Per chiarire la sua posizione, ricorre a un modello improbabile: Sarah Hughes, la pattinatrice artistica che partecipò alle Olimpiadi invernali di Salt Lake City nel 2002. «Nessuno pensava che Sara Hughes avesse la minima chance di vincere», dice. Poi tutte le favorite pasticciarono le loro esibizioni, Hughes infilò tre tripli salti spettacolari e si portò a casa l’oro. «Dopo, Hughes ha detto che non sapeva come aveva fatto», prosegue Mayer. È un aneddoto suggestivo, che si presta a due diverse interpretazioni: lo sfavorito coraggioso che trionfa grazie al talento, oppure che ci riesce perché i rivali più capaci vanno nel pallone. «Io mi sento come Sarah Hughes», conclude Mayer.
(Bloomberg L.P. Copyright© 2013. Ha collaborato Douglas MacMillan, traduzione di Matteo Colombo)