Francesca Schianchi, la Stampa 30/9/2013, 30 settembre 2013
MANCANO DICIANNOVE VOTI PER UNA NUOVA MAGGIORANZA
Il numero necessario, anzi indispensabile, è 161. La metà più uno dei senatori. La quota fatidica che il governo Letta dovrebbe assicurarsi a Palazzo Madama per proseguire la sua esperienza. E se la maggioranza vista finora garantì all’esecutivo nella sua prima fiducia del 30 aprile scorso 223 voti favorevoli, se si sfila il Pdl, quali possono essere i numeri?
108 sono gli eletti nelle file del Pd (da cui però occorre togliere il presidente Grasso, che per prassi non vota), e 20 quelli della montiana Scelta civica. Considerando probabilmente a favore anche i voti del gruppo per le autonomie e dei senatori a vita, fanno quindici voti in più. Totale 142, cioè 19 voti meno della soglia di maggioranza.
«Secondo me i numeri ci sono, non c’è problema», si sbilancia però un pidiellino in sofferenza. L’accelerazione impressa alla crisi ha portato allo scoperto malumori e dissensi dentro al Pdl, come dimostrano le prese di distanza dei ministri Quagliariello e Lorenzin e persino le parole del vicepremier Alfano. E che da settimane politici di prima fila come Pier Ferdinando Casini e il ministro Mario Mauro si impegnino per cercare di dare vita a un’alternativa moderata ed europea al Pdl, tentando di assicurare alla causa anche i berlusconiani messi in difficoltà dalla linea dei falchi, è confermato da molti. «C’è la libertà di coscienza che può restituire all’Italia un governo possibile ed un Paese plausibile», è l’invito fatto ieri da Mauro.
Il senatore berlusconiano Carlo Giovanardi, uno dei pochi che, non condividendo la strategia, non ha firmato le dimissioni da parlamentare, e oggi ha sottoscritto le parole di Quagliariello, la mette così: «Mi pare che oggi sia emersa una sintonia di pensiero politico fra vari esponenti del Pdl: bisognerà che ci si parli per decidere insieme cosa fare e assumere una linea comune, nei confronti del partito come del governo». Ancora, il sottosegretario Giuseppe Castiglione, un altro che non ha firmato le dimissioni da parlamentare, che è deputato ma conta su un paio di senatori a lui molto vicini, insiste che «nel Pdl sono prevalse posizioni estremiste, ora è un errore far cadere il governo e per la sua prosecuzione vedo un fronte molto ampio». Quanti tormenti si trasformeranno in voti alla fiducia? «Siamo in tanti a interrogarci davanti alla nostra coscienza su cosa sia meglio fare», dice Paolo Naccarato, senatore iscritto al gruppo Gal, Grandi autonomie e libertà. Cosa farà davanti a una fiducia? «Sentirò con attenzione il presidente Letta, e con un supplemento di attenzione le dichiarazioni in Aula del Pdl, perché spero e credo che non faccia mancare il suo sostegno al governo. Poi deciderò, ma io sono per cultura un uomo legato alle istituzioni e alla continuazione del governo».
Altrove, in altri gruppi, potrebbero aprirsi altre possibilità, a condizione però che si parli di un nuovo governo con una maggioranza alternativa. Sel oggi è all’opposizione, ma ieri la senatrice Alessia Petraglia ha fatto sapere che, se il Pd «rompe col passato», i sette eletti del partito di Vendola sono disponibili a sostenere un nuovo esecutivo «poi al voto con una nuova legge elettorale». E anche nel M5S, nonostante la posizione di Grillo per il voto immediato, c’è chi potrebbe fare un pensiero a un nuovo esecutivo per condurre in porto la legge di stabilità e quella elettorale. Quanti potrebbero convincersi, difficile dirlo: un numero da cui partire è 14, come le schede bianche o nulle nel corso del ballottaggio sul nuovo capogruppo.
Presto la verifica in Aula. Dove i numeri parleranno chiaro.