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 2013  settembre 30 Lunedì calendario

MAIALE, FOIE GRAS E TAGLIATA: COSÌ LA STORIA SI FA A TAVOLA

Pare che sia stata una testa di maiale, a far ricredere Churchill su Stalin. Nel senso di trovare in lui un alleato, anzi - addirittura «un amico». Era successo che Churchill e Stalin erano stati a cena assieme, a Mosca, nell’agosto del ’42: ma a conquistare il britannico non era stato il banchetto ufficiale, offerto la prima sera dal dittatore comunista (quella sera, dopo un numero impossibile di portate e di brindisi, Churchill diede il suo giudizio da gourmand: «Il cibo faceva veramente schifo»); cruciale era stata la serata successiva, quella informale, trascorsa in tête-à-tête con il georgiano, i traduttori e il ministro degli esteri Molotov dove, dopo una serie di bicchieri, viene imbandita una cena «alla buona» e arrivano maialino da latte, due polli, manzo, montone, pesci e perfino, alla fine, la famosa testa di maiale, che Stalin «finisce» con le mani.
È così che Stalin conquista Churchill, come racconta un libro piccolo e gustoso, A capotavola , scritto da Laura Grandi e Stefano Tettamanti (Mondadori), soci nell’agenzia letteraria Grandi & Associati. Il sottotitolo è «Storie di cuochi, gastronomi e buongustai», ma il fatto è che sono soprattutto questi ultimi, i buongustai, a fare la storia: personaggi celebri, dalla politica alla letteratura, raccontati attraverso il loro rapporto con il cibo, la tavola e il bere. Per esempio si scopre, a proposito di Churchill, come la sua vera passione non fosse il whisky, bensì lo champagne, che non mancava mai accanto al suo piatto, e di cui era un esperto assoluto. Il suo preferito era il Pol Roger.
Agatha Christie, la regina del giallo, ai fornelli era una frana. Si intendeva benissimo di ricette di farmaci e di veleni, perché aveva fatto l’infermiera volontaria durante la Grande guerra, ma sapeva cucinare solo qualche piatto, come «soufflé al formaggio e salsa bernese». Il problema principale era mettere insieme una cena completa perché, come spiega lei stessa, «la nostra ignoranza dei tempi di cottura ci faceva rischiare dei pessimi risultati», specialmente coi piatti di carne. Un patito di carne era invece Hermann Hesse, anzi, in pratica amava soltanto il bollito, visto che mangiava poco (ma beveva di più): lo faceva acquistare dalla domestica tutti i martedì, in dosi precise e sempre identiche, cioè 150 grammi senza osso e 200 con l’osso a testa. Per il resto, sulla sua tavola finiscono formaggio, castagne, un po’ di pane, perché, per via dell’artrite, decide di cancellare gli «intingoli per buongustai» e il sale.
Anche Otto von Bismarck, il cancelliere prussiano, seguiva un regime alimentare molto « particolare», sempre adducendo ragioni di salute. Il fatto è che Bismarck - un omone, tanto che il suo nome nei secoli successivi è stato associato a piatti superenergetici grazie all’aggiunta magica dell’uovo fritto - a un certo punto della sua vita comincia a lamentare un misterioso peso allo stomaco e a comportarsi da inappetente. E così la moglie, premurosa, lo fa ingozzare di foie gras: il cancelliere ne è talmente goloso che, a cena, fissa in cagnesco tutti gli ospiti che osino versarne un po’ nel loro piatto, perché vuole finire tutta la terrina da solo. Robespierre, fedele all’immagine del rivoluzionario, non passava da gran mangiatore. Amava le arance, ma come il suo nome sia stato associato alla famosa tagliata è misterioso: si dice che buttarono aglio, pepe verde e rosmarino nella cesta con la sua testa mozzata. Una ricetta poco invogliante, letta così: eppure è un classico. Come la scelta di Margherita di Savoia, che assaggia tre pizze del napoletano Raffaele Esposito e ne preferisce una, quella tricolore, mozzarella, pomodoro, basilico. Forse il piatto più famoso al mondo.